In francese si chiamano gilets jaune, gilet gialli: il movimento di protesta che sta assediando Parigi, dalle violenze agli Champs-Elysées (con un bilancio finale di 133 feriti e 378 fermi il primo dicembre) ai blocchi sulle strade di tutto il paese. Il nome deriva dal giubbotto che gli automobilisti devono indossare nelle situazioni di emergenza, obbligatorio anche in Italia per aumentare la propria visibilità sulla strada. La protesta è esplosa contro un rialzo dei prezzi del carburante previsto dal governo di Emmanuel Macron all’interno di piano per la transizione energetica del paese.
La mobilitazione è nata da una raccolta di firme online, trasformandosi in un movimento di piazza che sta mettendo sotto pressione la leadership di Macron. La battaglia originaria contro il caro benzina (e diesel) si è allargata a rivendicazioni più generali su potere d’acquisto e tagli alle tasse, dando sfogo al malcontento che ha fatto piombare ai minimi la popolarità del titolare dell’Eliseo. Il gruppo ha dato vita a tre proteste diverse a Parigi, scatenando situazioni di guerriglia urbana, oltre a bloccare le principali arterie del paese con 2mila «appostamenti» sulle strade solo lo scorso 17 novembre.
Da cosa nasce la protesta
La miccia della mobilitazione è stata il rincaro sul carburante previsto dall’esecutivo di Macron, nel vivo di un programma
di transizione energetica in favore di vetture elettriche e mezzi pubblici. La misura viene avvertita come una sorta di «tassa
sui poveri», perché tocca nella tasca i milioni di pendolari francesi costretti a fare ricorso all’automobile. I costi
sul diesel sono già aumentati del 23% nell’arco di un anno, secondo dati dell’Associated French press, arrivando a una media
di 1,51 euro al litro. Il governo francese ha incrementato la tassa sugli idrocarburi, aumentandola di 7,6 centesimi al litro
sul diesel e di 3,9 centesimi sulla benzina. Dal 2019 arriveranno altri 6,5 centesimi a litro sul diesel e 2,9 centesimi sulle
benzina, considerati il colpo di grazia definitivo. I portavoce del movimento spiegano che l’obiettivo è ottenere misure
per aumentare il potere d’acquisto, eroso da anni della crisi e una pressione fiscale giudicata insostenibile. Il gruppo
dichiara di non avversare la riconversione ecologica in sé, ma l’imposizione di un rincaro scaricato sulle spalle del ceto
medio.
Una «rivoluzione» coordinata sui social network
Non è chiaro quali siano le dimensioni effettive del movimento. La mobilitazione del 24 novembre è riuscita a portare in strada
oltre 100mila persone in tutta la Francia, distribuite fra blocchi stradali e città. Le dimostrazioni sono coordinate online,
attraverso una strategia che salda social network (come Facebook) a portali web ufficiali o semiufficiali. È il caso di
Blocage 17 Novembre («Blocchi del 17 novembre», la prima data di sollevazione, ndr), oggi arrivata oltre le 32mila adesioni
in meno di tre settimane di vita. La bacheca rimanda a un sito che sembra fare da raccordo per i manifestanti, con tanto di
una mappa interattiva per segnalare i blocchi distribuiti per la Francia. Gli utenti possono comunicare a seconda della zona geografica, organizzandosi in micro-forum per stabilire dove e come pianificare il blocco. I media internazionali fanno notare che la decentralizzazione del movimento
sta comportando un cambio di paradigma brusco per la storia sindacale del paese. Le parti sociali erano e sono capaci di
mobilitare scioperi anche più radicali di quelli messi in piedi dai gilet gialli, ma con la possibiità di ritirarli dopo i
negoziati. In questo caso, l’assenza di una cabina di regia univoca rende più imprevedibile l’evoluzione delle proteste e
di una eventuale trattativa.
Le simpatie politiche e le infiltrazioni dall’esterno
Il movimento continua a dichiararsi, per ora, del tutto apolitico e apartitico. Nel frattempo però le sollevazioni hanno incassato
consensi fra le frange estreme di destra e sinistra, ottenendo l’appoggio di Marine Le Pen (leader della forza di ultradestra
Rassemblement National, erede del neofascista Front National) e Jean-Luc Mélenchon (fondatore di France insoumise, «Francia indomita», sigla di sinistra radicale simile all’esperimento spagnolo di Podemos).
I collanti fra i due sono l’avversione a Macron e l’appoggio a una battaglia che riproduce la spaccatura «basso contro alto»,
dove il basso sono le province martoriate dal fisco e l’alto le èlite politiche e finanziarie. Fra i vari motivi di acredine
nei confronti del piano ecologico di Macron c’è la spinta sull’acquisto di vetture elettriche, ritenuto irrealistico e fuori
dalla portata delle fasce di popolazione che animano la manifestazione. In occasione delle sommosse parigine si è parlato
di «infiltrazione» di gruppi di estremisti, sia di destra che di sinistra, anche a giustificazione delle scene di guerriglia
che si sono vissute nella capitale.
E Macron come ha reagito?
I gilet gialli sono il culmine di una crisi di popolarità che ha svelato tutte le fragilità di Emmanuel Macron, come uomo
politico e nella sua carica istituzionale. Per ora il presidente ha risposto dichiarando di «capire» le motivazioni dei gilet
gialli, salvo mantenere la propria linea sulla transizione energetica e il rincaro dei carburanti che ha fatto esplodere il
risentimento di piazza. Sono stati anche tentati dei colloqui fra esponenti del governo e ministri del suo esecutivo, senza
ottenere risultati significativi. Oggi il titolare dellEliseo è scivolato ai minimi storici di popolarità, con un consenso
stimato dalla società di ricerca YouGov al 32%. Sanare la frattura con la piazza potrebbe essere un primo elemento di riscatto,
anche se non è chiaro quali siano i margini di dialogo con i suoi avversari. Alcuni esponenti dei gilets jaune hanno messo in chiaro che l’obiettivo non è trattare con Macron, ma destituirlo.
© Riproduzione riservata