
Perché la Francia può “sforare” e l’Italia no? È una domanda sbagliata, ma naturale - nel dibattito politico italiano - ora che il presidente francese Emmanuel Macron ha proposto misure aggiuntive per 10 miliardi di euro allo scopo di pacificare il paese dopo le proteste dei Gilet jaunes, con il rischio - in assenza di misure correttive - di portare il deficit al 3,4%, e quindi sopra la soglia del 3% - ottenendo una sorta di via libera dal commissario Ue per gli Affari economici e monetari, il francese Pierre Moscovici - mentre l’Italia fa fatica a far accettare il suo 2,4%.
Due casi molto diversi
È però una domanda sbagliata, almeno in parte. Per due motivi: perché la Commissione ha già censurato la Francia per il vecchio
   budget,  e tornerà con tutta probabilità a farlo nel prossimo esame previsto a  maggio  e   dopo che il nuovo documento sarà
   formalizzato con tutti i numeri, e le eventuali misure correttive, resi espliciti. Poi perché il caso francese e quello italiano
   si differenziano, finora almeno, su un punto fondamentale: Parigi va nella direzione giusta, ma in misura non sufficiente;  Roma invece va in una direzione opposta rispetto agli impegni.
Il doppio deficit francese
Il dibattito si concentra molto sul deficit complessivo. La Francia ha presentato - prima delle nuove iniziative - un budget
   2019 con un deficit dell’1,9%, in calo dal 2,4% del 2018 e in linea con l’obiettivo di azzerare il disavanzo entro il 2022:
   nel 2020 si impegna infatti a centrare un ambizioso 1,4%. L’anno prossimo, però, la Francia cancella un credito di imposta,
   il Cice, Crédit d’impôt pour la compétitivité et l’emploi,  trasformato in uno sgravio fiscale. Nel 2019, e solo nel 2019,
   il governo dovrà restituire il credito maturato nel 2018 (e già iscritto nei bilanci delle imprese), e nello stesso tempo
   assorbire il mancato versamento delle imposte “sgravate”. Il deficit complessivo sale quindi al 2,8%.
Il rischio di «sforare»
Le misure annunciate da Macron dovrebbero pesare, in assenza di correttivi, per 0,6 punti percentuali. Il deficit complessivo dovrebbe quindi salire al 3,4% mentre il disavanzo senza misure straordinarie - quelle a cui fa riferimento
   Moscovici per “giustificare” la Francia - dovrebbe portarsi al 2,5% (e comunque scendere all’1,4% nel 2020).  Possibile che
   la commissione non dica nulla su tutto questo? No, anche perché  il budget francese è stato già oggetto del consueto scambio
   di lettere - quelle di Bruxelles firmate dall’italiano Marco Buti, responsabile del direttorato Affari  economici e finanziari
   - con una valutazione finale non certo lusinghiera. 
Le obiezioni di Bruxelles a Parigi
Il bilancio - spiegava la commissione - «è a rischio di non-compliance»: «La Commissione invita le autorità a prendere le
   necessarie misure, nel processo di formulazione del budget, per assicurare che il bilancio 2019 sia compatibile con il Patto
   di crescita e stabilità e usi i benefici non preventivati per accelerare la riduzione del rapporto tra il debito pubblico
   e il Pil». Il punto è che il documento di Parigi  non fornisce «informazioni sufficienti» per valutare l’andamento del debito.
Progressi insufficienti
Il deficit complessivo, però, c’entra poco. La Commissione ormai ha spostato la sua attenzione sul deficit strutturale, e
   le sue contestazioni alla Francia - e all’Italia - si concentrano sullo  «sforzo strutturale»: la riduzione del deficit strutturale francese sarebbe dovuto  essere pari allo
   0,6% mentre il budget 2019 prevedeva un mero miglioramento dello 0,2%, secondo i calcoli dei tecnici di Bruxelles, e dello
   0,3% secondo quelli di Parigi. Tutto questo, ovviamente, prima dell’annuncio delle misure di lunedì. Solo i dettagli del nuovo
   budget permetteranno ora di dire se il caso francese può ancora essere trattato in questi termini.
Italia a marcia indietro
Il budget italiano ha avuto una storia apparentemente più travagliata, ma in realtà più semplice. Il punto che lo differenzia
   davvero, e giustifica un trattamento diverso da quello francese riguarda, ancora una volta, il deficit strutturale. Se quello francese viene ridotto in misura insufficiente, quello italiano viene  aumentato. Roma avrebbe dovuto migliorarlo dello 0,6% e invece lo peggiora  dello 0,8%. Per questo la lettera della commissione del
   5 ottobre - molto breve rispetto a quella francese, e firmata dal vicepresidente Valdis Dombrovskis e da Pierre Moscovici
   - parla di «serie preoccupazioni». 
Il nodo del debito
L’ultima, lunga,  valutazione, del 21 novembre, si conclude così con una dichiarazione esplicita di non-compliance sul debito,
   molto elevato, che la manovra non riuscirà a ridurre. La Commissione - che pure tiene conto delle difficoltà legate al crollo
   del ponte Morandi e quelle del dissesto idrogeologico - cita esplicitamente tre fattori alla base della decisione: le condizioni
   economiche dell’Italia non giustificano un peggioramento del deficit (il pil nominale, dal 2016, cresce del 2% annuo, spiega
   la Commissione); la manovra cancella alcune misure che avrebbero dovuto sostenere la crescita, a cominciare la riforma delle
   pensioni; e il rischio di un forte allontanamento dalla rotta che l’Italia si è impegnata a seguire nel risanamento dei conti.
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