NEW YORK - I super store Ikea potrebbero diventare un ricordo del passato. Gli enormi magazzini self-service, gli scatoloni blu - i cosiddetti Blue Box Stores - percorsi all'interno da labirinti che per siepi hanno alte scaffalature con componenti di mobilio da costruire e oggetti d’arredamento d’ogni genere e dimensione, sperduti ai margini o anche oltre i confini delle città, potrebbero trasformarsi in un mito delle origini. Ikea, il leader mondiale delle vendite di mobili - vero inventore di successo, appunto, dei mobili pop e da montare dagli anni Cinquanta in avanti, con radici svedesi e raggio d’azione internazionale - cambia pelle.
Al posto di quella storica immagine associata al marchio, nel prossimo futuro ci sarà una rete globale di assai più piccoli negozi molto urbani. Nonchè di magazzini “digitali”, cioè di vendite online e servizi di consegna e di assemblaggio a domicilio sempre più rapidi e meno costosi. Il domani, insomma, ha il volto di una Amazon dell'arredamento che spedisce le sue merci, scelte da consumatori nella comodità di locali cittadini piuttosto che dai colossali casermoni nel mezzo del nulla. Un esperimento di trasformazione, iniziato in Europa, che ora sbarca in grande stile nella patria stessa di Amazon: il colossale mercato americano ne diventa il vero e cruciale banco di prova.
La prima “boutique” Usa targata Ikea, o meglio Planning Studio, aprirà i battenti a primavera 2019 a New York, per la precisone nel quartiere dell’Upper East Side di Manhattan. Seguita da un simile Studio nella capitale Washington
Dc. Planning Studio perchè il segreto è nell’offrire ai consumatori capacità di progettare, acquistare e ordinare per una
consegna a domicilio del suo design urbano per la casa. Un piano rivoluzionario di negozi small-format che è stato ufficialmente
illustrato nei giorni scorsi dai vertici statunitensi del gruppo alla conferenza di settore dell’International Council of
Shopping Centers.
Gli investimenti per cambiare
La nuova scommessa diventa ancora più chiare attraverso un’analisi dell’ultimo bilancio del gruppo: i profitti dell’anno fiscale (finito ad agosto) sono caduti del 26% (a 2,25 miliardi). Risultato proprio degli investimenti nella strategia trasformatrice. Una spesa, compresi impegni ambientali in energia rinnovabile
e riforestazione, che è stata quantificata in 2,8 miliardi di euro in dodici mesi. E per la quale Ikea non vedeva alternative: la concorrenza continua ad aumentare, con Internet che cambia le regole del
gioco e le abitudini dei consumatori - sempre più concentrati nelle metropoli e desiderosi di ordinare online e ricevere tutto
pronto alla porta di casa - che erode di conseguenza il suo precedente modello di business. «Il quadro del retail sta mutando
rapidamente ovunque - ha ammesso il direttore finanziario Juvencio Maetzu - Per questo stiamo compiendo simili passi».
Il debutto del nuovo modello
Il nuovo format ha già debuttato, progressivamente. Con una show-room dedicata alla cucina nel cuore di Stoccolma. E da ottobre soprattutto un negozio nel cuore di Londra, di 1.312 piedi quadrati, per programmare interi rinnovamenti e ristrutturazioni personalizzate della casa. Un locale per
arredamento da salotto ha aperto i battenti a Madrid. Anche un “magazzino” tenuto a battesimo da poco a Varsavia, in Polonia, con i suoi cinquemila piedi quadrati è in realtà per dimensioni la metà dei tradizionali, cavernosi centri Ikea.
L’esperienza nei nuovi centri è simile: i consumatori visitano il locale, via computer progettano gli interni della loro abitazione,
da cucine a camere da letto, in adiacenti chioschi appositi fanno poi scattare il loro acquisto e ordine che verrà consegnato
all'indirizzo fornito. In arrivo dal 2019 in avanti, oltre al debutto americano, sono ulteriori esempi internazionali del
nuovo modello: una grande show-room a tutto campo è prevista a Parigi l’anno prossimo e un’altra a Tokio nel 2020.
I primi risultati
A confortare il gruppo nel progetto ci sono i primi segni incoraggianti: le vendite online sono balzate del 50% nel corso
degli ultimi dodici mesi, alimentate in tutto da 14 nuovi centri di distribuzione specializzati. Altri venti simili centri
sono in programma soltanto nell’anno fiscale in corso. Il gruppo ha inoltre deciso di eliminare 7.500 posizioni amministrative e di aggiungere invece 11.500 addetti al suo staff destinato alle vendite online e ai negozi di minori dimensioni nelle aree urbane. Non è una svolta di poco conto.
Ci sono undici grandi società di franchising che gestiscono magazzini con il marchio Ikea, capitanati dalla stessa casa madre
con 367 super-negozi direttamente sotto il proprio ombrello. I restanti versano commissioni del 3% sulle vendite al detentore
del marchio, Inter Ikea. Il network complessivo assicura una presenza in 42 paesi, a cominciare dall’Europa dove viene tuttora realizzato il 70% del giro d'affari, ma con un’espansione che ha portato l’azienda nel corso degli anni a sbarcare negli Stati Uniti e in Canada, in Brasile,
negli Emirati Arabi, in Asia e in Australia.
L’ultima svolta di una controversa storia
Il gruppo oggi alla ricerca di una nuova identità è orfano del suo fondatore. Il nome stesso è un acronimo formato dalle iniziali di Ingvar Kamprad, scomparso in gennaio all’età di 91 anni, combinate con quelle di Elmtaryad e Agunnaryd, i luoghi di nascita suoi e della sua impresa. Ma con la scomparsa di Kamprad il gruppo si lascia alle spalle, accanto a un impero organizzato in una fitta rete di società e fondazioni, anche non poche controversie: da un passato con simpatie naziste fino ad accuse, nel business, di aver fatto ricorso a tattiche psicologiche nella concezione dei suoi enormi centri con l’obiettivo di disorientare i clienti e spingerli a maggiori acquisti. Tutto era cominciato nel 1943, quando il 17enne futuro magnate decise di utilizzare una somma di denaro ottenuta dal padre per aprire i battenti di una prosaica attività di vendita per corrispondenza di prodotti di uso quotidiano quali penne, fiammiferi, decorazioni, qualche orologio. Il mobilio fece il suo ingresso sette anni dopo e successivamente ecco il lancio di un vero e proprio catalogo, di sedici pagine. Nel 1955 Ikea inizia a ideare e costruire i propri mobili, puntando poi su una combinazione di bassi prezzi e design semplice e attraente, assieme all’idea, su grande scala industriale, dell’assemblaggio self-service di componenti standard.
Del 1979 è l’iconica Billy Bookcase. Adesso è però giunto il momento di raccogliere una nuova sfida per un gruppo che era
abituato a essere all’avanguardia. Il momento di fare i conti con un interrogativo ancora senza risposta: riuscirà Ikea a
prosperare nell’era digitale e dell’e-commerce?
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