Per quasi 30 anni, quelle inconfondibili scatole blu con la scritta gialla «Ikea» all’esterno – ben visibili da tangenziali e autostrade – sono state l’ambientazione in cui si è consumato uno tra i più amati-odiati riti del fine settimana per tante famiglie italiane. Templi di periferia di 30-35mila metri quadrati dedicati a mobili, complementi e accessori per la casa, dove i clienti andavano ad acquistare i prodotti smontati per poi portarseli a casa e assemblarli.
Ebbene, pur senza abbandonare questo modello retail che in 70 anni di vita ne ha decretato il successo internazionale, il colosso svedese fondato da Ingvar Kamprad (morto lo scorso gennaio) sta ora investendo per adeguarsi alle trasformazioni in atto nel mondo del commercio, sperimentando nuovi format di vendita e servizi che vadano incontro alle esigenze di consumatori sempre più urbani e digitali, in cerca di esperienze d’acquisto innovative e accattivanti, meno disposti a prendere l’auto per spostarsi in periferia e fare shopping nella ressa delle grandi superfici commerciali.
Proprio l’Italia, che per il gruppo vale 1,7 miliardi di euro di vendite nel 2017, è uno dei principali terreni di questa sperimentazione. L’inaugurazione, martedì scorso all’interno della sede romana di Eataly, del secondo Pop-Up store di Ikea nel centro della capitale, va in questa direzione: negozi più piccoli (in questo caso 700 metri quadrati su due piani, con focus su cucina e area living) nei centri cittadini, attrezzati per offrire servizi a valore aggiunto – consulenze, ambienti e allestimenti ricercati, iniziative di intrattenimento – e una maggiore integrazione tra canale online e offline.
Si tratta di un «temporary store», la cui durata dipenderà dalla risposta della clientela, come accaduto per l’atro Pop-Up store romano, aperto l’anno scorso in piazza San Silvestro con 400 mq dedicati alla cucina, che sarebbe dovuto restare in funzione per soli quattro mesi e invece non chiuderà prima del prossimo 6 gennaio. Esperienze simili sono in corso anche in altri Paesi in cui Ikea è presente: Stoccolma, Madrid, Parigi, Londra e New York. È una fase di grande fermento per il gruppo, presente in oltre 30, con 367 negozi, 158mila collaboratori e un fatturato complessivo che a fine anno dovrebbe raggiungere i 34,8 miliardi di euro (+4,7% rispetto all’anno scorso).
Ma è nel nostro Paese che, tre anni fa, venne fatto il primo test in questo senso, con il temporary store aperto a Milano in occasione di Expo 2015. E sempre a Milano Ikea aprirà il prossimo Pop-Up store anche se, spiegano dalla filiale italiana, non è ancora prevista una data. Data prevista e anzi imminente, invece, per il primo “Ikea Business” a livello internazionale: uno spazio tematico di 130 metri quadrati, riservato ai clienti Ikea con partita Iva, che inaugurerà domani mattina a Brescia, all’interno del centro commerciale Elnòs, dove Ikea è già presente con uno store tradizionale. Una novità che il gruppo intende replicare in futuro, focalizzandosi ogni volta su una precisa categoria merceologica o tipologia di cliente.
Altro fronte di investimento è quello sullo sviluppo dell’omnicanalità, quell’integrazione tra vendite online e offline che è la più grande sfida per Ikea, come per tutti i big della distribuzione organizzata. Un cambiamento radicale, ha spiegato qualche settimana fa sul «Financial Times» Torbjorn Loof, chief executive di Inter Ikea (holding proprietaria del concept e dei franchisor), che punta su servizi aggiunti come consegne a domicilio, assemblaggio e shopping online. Quest’ultimo è in forte ascesa anche in Italia, con un incremento di vendite del 36% nel 2017 (rispetto al 2016), con 105 milioni di visite sul sito ikea.it. In questo senso va lo sviluppo degli “Ikea Locker”, gli armadietti aperti 24 ore su 24 per il ritiro self service delle merci ordinate online. Il servizio, attualmente presente nei tre punti vendita di Milano, sarà esteso nei prossimi mesi in altre città italiane.
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