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Facebook, l’anno terribile di Zuckerberg tra scandali e titolo in calo del 40%

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NEW YORK - Non è stato un anno facile il 2018 per tech e social media. Ma per Facebook l’anno è diventato davvero terribile e continua a peggiorare, con scandali e indagini che si accavallano e promettono di allungare ombre anche sul 2019. Il nodo gordiano che Mark Zuckerberg e il suo team non riescono a tagliare: una litania di violazioni della privacy degli utenti, di inadeguati o assenti controlli sul contenuto, di accordi segreti con partner sull’abuso di dati. Trame che riconducono a una cultura aziendale che, come emerso da documenti aziendali portati alla luce da inchieste giornalistiche e parlamentari, ha privilegiato il profitto e l’ossessione per la crescita su tutto, al prezzo di gravi lacune etiche e di cittadini considerati solo come prodotto da “vendere” per catturare pubblicità.

È un difetto che ormai pesa e tanto anche in Borsa, perché minaccia le prospettive del gruppo: ieri, sotto il crescente peso di questa valanga finora inarrestabile di scandali e polemiche, il titolo del gruppo ha ceduto il 7,3%, la seconda peggior seduta da gennaio dopo il 19% bruciato a luglio all’indomani di un bilancio trimestrale deludente. Fb era ieri il solo titolo tecnologico in forte calo - del 5% - anche prima dell’annuncio di un nuovo rialzo dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve che ha poi scosso l’intero mercato. Il titolo ad oggi è in calo del 26% da inizio anno e addirittura di quasi il 40% dai massimi toccati verso fine luglio.

Gli ultimi tasselli del puzzle tossico per Facebook si sono aggiunti ancora nelle ultime ore: una controversa condivisione al di là di quanto finora immaginato di informazioni personali con aziende partner, che potrebbe aver violato precedenti accordi con la giustizia americana. E una denuncia in tribunale portata dal procuratore generale della capitale Washington Dc per mancata protezione di dati. La soluzione del puzzle degli scandali, per Facebook, appare insomma ancora lontana e la grande sfida irrisolta che peserà sul suo 2019. Certo, Facebook ha una base di utenti che ha ormai raggiunto i 2,3 miliardi, e la raccolta pubblicitaria stando a eMarketer dovrebbe a cosa crescere l'anno prossimo da 54 a 67,25 miliardi di dollari. L’incubo della crisi di immagine e fiducia potrebbe tuttavia trasformarsi sempre più anche in un problema di business.

I troll russi
La società si è mostrata facile preda dei troll russi che hanno cercato di influenzare, a favore di Donald Trump o per screditare le istituzioni, le elezioni americane del 2016 - e poi anche del 2018. Fasulli accounts, hanno dimostrato inchieste giornalistiche e congressuali, sono stai creati dalla Internet Research Agency di Mosca, legata al Cremlino, per diffondere la sua agenda attraverso numerosi social media e piattaforme Internet, tra cui un ruolo cruciale lo ha svolto Facebook. Nel 2017 il Congresso rilasciò oltre tremila inserzioni e account di Facebook e Twitter in particolare creati da agenti russi e i loro troll Internet per influenzare indebitamente gli elettori. I messaggi prendevano di mira fasce di americani con precisi criteri. Soltanto negli ultimi giorni una nuova ricerca commissionata sempre dal Congresso ha rivelato come i russi abbiano usato i social media americani con efficacia anche per sopprimere e scoraggiare il voto, in particolare della minoranza afroamericana in astati incerti che avrebbe avvantaggiato la rivale di Trump, Hillary Clinton. Le interferenze russe sono proseguite dopo il 2016. Una pagina Facebook chiamata Merican Fury attaccava il procuratore speciale del Russiagate Robert Mueller affermando che lavorava con gruppi islamici radicali. Un'altra denigrava l'ex direttore dell'Fbi e critico di Trump James Comey. In vista delle elezioni di midterm del 2018 sono state scoperti e bloccati ancora una centinaio di account russi di Facebook e Instagram.

Cambridge Analytica
Lo scandalo ha portato alla luce le violazioni della privacy. Soltanto ieri il procuratore generale di Washington Dc ha sporto una nuova denuncia affermando che Facebook non ha protestato adeguatamente le informazioni personali degli utenti nel caso. La vicenda è esplosa agli inizi del 2018 quando inchieste giornalistiche hanno esposto la raccolta irregolare, cioè senza adeguato consenso, di dati di ben 87 milioni di americani da parte della società Cambridge Analytica, che era stata assunta da Trump per aiutare la sua campagna elettorale. Facebook, è affiorato, era intervenuta tardi e poco per fermare le violazioni. All’esplosione dello scandalo contribuì un pentito, l’ex dipendente di Cambridge - ora defunta - Christopher Wylie.

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Privacy
Ma gli scandali sulla privacy hanno continuato ad aggravarsi. Ancora negli ultimi giorni il New York Times ha portato alla luce accordi segreti per la condivisione di informazioni e dati sugli utenti con altre grandi aziende tecnologice, da Microsoft a Amazon, da Netflix a Spotify e Yahoo. Netflix e Spotify potevano ad esempio leggere anche i messaggi privati tra utenti. Microsoft, con il suo motore di ricerca Bing, accedere ai nominativi di tutti gli “amici” di un utente senza il consenso. Il sospetto è che questa pratica abbia anche violato un accordo con la giustizia americana (la Ftc) del 2011 sulla protezione dei consumatori. Un ulteriore recente caso di inadeguata protezione è nato dalla scoperta nella sua piattaforma un bug che ha compromesso quasi sette milioni di foto di utenti.

Le non-risposte
Altrettanto gravi e forse ancora più preoccupanti per il futuro sono state le reticenze dell’azienda. I numerosi mea culpa sono stati travolti dalle ripetute rivelazioni e Facebook è parsa sempre rincorrere gli scandali, senza mai fornire sufficienti dettagli e assumersi adeguate responsabilità. In aprile testimoniando al Congresso Zuckerberg aveva dichiarato «che è chiaro che non abbiamo fattto abbastanza per prevenire» le violazioni e manipolazioni, comprese “fake news, hate speech e data privacy”. Nelle ultime ore però un'alleanza di 30 organizzazioni dei diritti civili ha criticato pesantemente Facebook, chiedendo le dimissioni da board dello stesso Zuckerberg e del direttore operativo Sheryl Sandberg, davanti all’emergere di un nuovo episodio: le decisione dei Sandberg e dei vertici aziendali di assumere una società opposition research, vicina ai repubblicani, per screditare i suoi critici e rivali, cercando di legarli a George Soros a sua volta obiettivo di campagne negative. Soros è stata attaccato anche da gruppi della destra americana anti-semita e da Trump.

Sheryl Sandberg e Mark Zuckerberg
La saga degli scandali ha stretto d’assedio come non mai i vertici aziendali. Sandberg, Coo del gruppo ormai dal 2008, ha visto la sua credibilità duramente colpita, trasformata da eroina femminista, autrice del libro Lean In sulle donne in carriera, in dirigente al centro degli scandali di manipolazione e degli inadeguati controlli. Interrogativi su quando e mando sapeva delle violazioni e irregolarità continuano a rimanere senza risposta. Ma anche Zuckerberg esce finora male dall'anno terribile delle società che aveva creato 14 anni or sono nella camera del suo pensionato studentesco. Con i continui scandali e carenze negli interventi, torna a galla anche una lunga storia di polemiche sul suo rapporto difficile con la privacy degli altri: il predecessore di Facebook, Facemash, era stato chiuso dopo proteste degli utenti sull’uso di loro foto senza autorizzazione. Nel 2007, il servizio Beacon di Facebook permise a società terze di pubblicare dati su acquisti da parte degli utenti se questi non optavano esplicitamene per evitarlo, a sua volta scatenando pesanti critiche.

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