La Spagna tornerà a votare il 28 aprile. Mancava solo la data per ufficializzare la decisione del premier socialista Pedro Sanchez che, dopo aver perso la battaglia in Parlamento sulla legge di bilancio, ha preferito rilanciare con le elezioni anticipate invece di vivacchiare. Al termine del Consiglio dei ministri Sanchez ha spiegato così la sua scelta: «Potevamo continuare a governare con una legge di bilancio che non è nostra e non risponde alle esigenze sociali del nostro Paese, ma abbiamo deciso di mettere tutti gli sforzi e tutta la nostra energia nelle grandi trasformazioni che vogliamo. Fra il non fare nulla o convocare le urne e dare la parola agli spagnoli, ho scelto le elezioni», ha detto il leader socialista attaccando i partiti di destra e gli indipendentisti catalani.
Tre sfide aperte tra destra e sinistra
A bocciare la legge di bilancio sono state le opposizioni di destra e soprattutto i nazionalisti catalani, che si erano uniti
alla sinistra nello sfiduciare il governo conservatore di Mariano Rajoy solo otto mesi fa, ma che hanno tolto il sostegno
al governo socialista di minoranza dopo avere incassato la totale chiusura di Sanchez a concedere un nuovo referendum sulla
secessione della regione di Barcellona.
«La Spagna deve continuare a progredire, deve andare oltre la politica dello scontro, dobbiamo creare lavoro di qualità, aumentare
i diritti e le libertà, garantire a protezione a tutta la società», ha detto ancora Sanchez, di fatto anticipando le tre grandi
sfide della campagna elettorale: lo scontro tra Madrid e Barcellona sull’indipendenza della Catalogna; la crescita economica
e dell’occupazione; la tutela dei diritti e delle libertà dei cittadini in continuità con la tradizione spagnola e con il
progetto dell’Europa unita. Gli spagnoli voteranno per rinnovare il Parlamento a fine aprile e dopo solo un mese, il 26 maggio,
saranno chiamati a votare alle elezioni amministrative e a quelle europee.
«Sarà un voto a testa o croce», dice Oriol Bartomeus, politologo e docente di Scienze politiche all’Università autonoma di
Barcellona. «Sanchez tenterà di unire i voti di chi teme una vittoria delle destre e potrebbe rafforzarsi in Parlamento sfruttando
la linea della fermezza dimostrata con la Catalogna. Ma i sondaggi - continua Bartomeus - indicano una situazione di grande
incertezza e se i partiti di destra dovessero raggiungere la maggioranza entreremmo in una fase molto difficile con un nuovo
durissimo scontro tra Madrid e Barcellona».
Molto può succedere da qui al 28 aprile in una campagna elettorale che vede contrapporsi leader under cinquanta: il più vecchio Sanchez ha quasi 47 anni, Pablo Iglesias di Podemos ne ha 40; Albert Rivera di Ciudadanos e Pablo Casado, il nuovo leader conservatore, ne compiranno quest’anno 40 e 38. Tutti sono cresciuti, hanno studiato e si sono formati in democrazia, dopo la fine della dittatura di Franco. Non era mai accaduto.
La Catalogna divide i partiti spagnoli
A mettere fine al governo socialista è stato il rifiuto di Sanchez di fronte al «ricatto» degli indipendentisti catalani e
la ferma volontà di «non uscire dai confini della Costituzione» per ottenere i voti necessari all’approvazione del budget,
come ha spiegato in Parlamento la ministra del Tesoro, Maria Jesus Montero.
E più che le distinzioni tra destra e sinistra, più che la diversa visione dell’Europa, più ancora della rottura tra partiti
tradizionali e nuovi movimenti, è ancora la questione catalana, in questa fase, a dividere la politica e gli elettori.
Durante la campagna elettorale si parlerà ancora molto di indipendenza, di referendum sulla secessione, di Costituzione spagnola
da difendere, di rapporti anche economici tra la Spagna e la Catalogna, di commissariamento della Generalitat di Barcellona.
Mentre il processo penale ai leader catalani indipendentisti, appena iniziato a Madrid, continuerà ad alimentare le tensioni.
Le destre spagnole dai Popolari, a Ciudadanos fino al partito xenofobo di Vox hanno dimostrato di poter trovare un accordo
di governo in Andalusia, unendosi nel nome della patria, una e indivisibile, in contrapposizione alle rivendicazioni della
Catalogna: Casado e Rivera hanno mostrato grande sintonia su questi valori, accettando senza troppe remore l’amicizia di
Vox.
I socialisti di Sanchez hanno governato negli ultimi mesi assieme alla sinistra radicale di Podemos capeggiata da Iglesias,
senza particolari scossoni, politiche e sui mercati finanziari, ma è facile prevedere che saranno lontani dalla maggioranza
(nel Parlamento uscente i Socialisti avevano solo 84 seggi sui 350 totali della Camera bassa) anche dopo le elezioni che porteranno,
questo è assicurato, a una frammentazione politica senza precedenti nella storia democratica spagnola.
Una campagna elettorale incerta
I sondaggi danno oggi il Partito socialista in testa ma l’unica coalizione in grado di raggiungere la maggioranza sembra quella
delle destre. Secondo la media delle ultime rilevazioni il Partito socialista raccoglie il 24% dei consensi; vengono di seguito
il Partito popolare con il 21% e Ciudadanos con il 18% per cento. Più indietro Podemos al 15% e Vox che raggiunge l’11% dei
voti, un risultato impensabile fino a due mesi fa ( e secondo molti analisti gonfiato dall’entusiasmo delle elezioni andaluse).
Ai partiti nazionalisti regionali andrebbe il restante 11% una quota difficile da sommare alla sinistra dopo la bocciatura
di Sanchez.
In questo scenario in continuo movimento anche il ruolo dell’Europa è destinato a spostare voti. Di certo, per tornare alla
Catalogna, nell’appoggiare Madrid e l’unità dello Stato spagnolo, come ha sempre fatto fino a qui. Ma anche nel fare pressioni
sui Popolari (e Ciudadanos) perché valutino con attenzione un’alleanza dio governo con Vox. Anche nei momenti più difficili
della grande crisi economica, i governi popolari di Mariano Rajoy, si sono affidati all’Europa e sarebbe difficile per la
destra tradizionale spagnola far digerire a Bruxelles un patto con un partito fortemente euroscettico oltre che populista
e xenofobo.
L’economia spagnola continua a crescere: un vantaggio per Sanchez?
Sanchez ha scelto di andare al voto al più presto anche per incassare il dividendo della finanziaria anti-austerity proposta
dai Socialisti assieme a Podemos. «Il governo si è scontrato con la volontà delle opposizioni di affossare una legge finanziaria
che conteneva misure di forte impatto sociale come poche altre volte è accaduto nel nostro Paese», ha detto Sanchez quasi
rivolgendosi già agli elettori. Il teso bocciato in Parlamento conteneva numerose misure di sicuro consenso tra gli elettori:
dall’aumento del salario minimo del 22%, alle pensioni legate all’inflazione; dalle tasse sui gradi patrimoni e sui redditi
più alti, a quelle per i big di internet e le transazioni finanziarie; dal diritto alla casa a nuove regole per il mercato
del lavoro.
Sanchez potrebbe trovare un grande alleato nella crescita del Pil, sfruttando l’ultima parte dell’«effetto Moncloa», il sostegno
che in Spagna viene sempre accordato a chi governa in una fase espansiva: l’economia spagnola infatti anche nei prossimi
mesi dovrebbe continuare a correre più che negli altri grandi Paesi dell’Eurozona. Il Pil spagnolo anche nel 2019 dovrebbe
crescere più del 2% con un costante recupero di posti di lavoro.
Nonostante la crisi di governo (e il ricorso alle urne per la terza volta in poco più di tre anni) l’affidabilità della Spagna
non è in discussione: anche i mercati azionari e i rendimenti dei titoli del debito pubblico si sono mostrati quasi indifferenti
alla chiusura della legislatura. Gli investitori - secondo gli analisti - sarebbero infatti molto più preoccupati per le conseguenze
di Brexit e per le vicende politiche italiane.
«Le elezioni di aprile non disturberanno la crescita a breve termine», dicono Antonio Garcia Pascual e Radu-Gabriel Cristea
di Barclays. «Riteniamo che dalle elezioni anticipate possa uscire una coalizione di governo capace di realizzare politiche
di crescita più efficaci rispetto a quelle realizzate dall’attuale governo: quasi tutti i risultati elettorali darebbero
coalizioni simili o più solide: ad esempio una coalizione di centro-destra o un governo a guida socialista con più seggi in
Parlamento».
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