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Brexit, una guida semplice dall’articolo 50 al backstop

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martedì il tour europeo di May

Brexit, una guida semplice dall’articolo 50 al backstop

L’odissea della Brexit ha logorato i rapporti tra Londra e Bruxelles, offuscato il mito della «efficienza» della democrazia britannica, distrutto qualche carriera politica e inflitto un colpo alla tenuta del progetto europeo. In compenso, c’è qualcosa che si è arricchito: il vocabolario medio dell’informazione europea, diventata improvvisamente familiare con i gergalismi della cronaca parlamentare della City. Da mesi sentiamo parlare delle liti sul «backstop» , i tonfi di May nei «voti significativi», la tentazione di imporre una Hard Brexit. E ora pure di elezioni europee, visto che un rinvio lungo costringerebbe Londra a partecipare al voto di maggio: il governo britannico ha annunciato l’8 aprile di aver «preso i provvedimenti necessari» per far correre i suoi deputati alle elezioni dell’Eurocamera. Vi siete persi? Ecco un glossario minimo per orientarsi nel divorzio, senza fine, tra Londra e la Ue, alla vigilia del tour europeo di Theresa May, attesa martedì a Berlino dalla cancelliera Angela Merkel e a Parigi dal presidente Emmanuel Macron; mercoledì invece, May incontrerà i leader degli altri 27 Paesi Ue.

Articolo 50: è l’articolo del Trattato sulla Unione europea che regola il «meccanismo di recesso volontario e unilaterale di un paese dall'Unione europea (l’uscita di un paese dalla Ue, ndr)». Attivandolo, come ha fatto Londra il 29 marzo 2017, si avvia la procedura per la separazione di uno stato membro dalla Ue. In teoria il processo sarebbe dovuto durare due anni, fino al 29 marzo 2019. Di fatto è andata come sappiamo, perché Londra ha chiesto e ottenuto una «estensione dell’articolo 50»: un rinvio del divorzio definitivo. Quando si parla di «ritirare l’articolo 50», si intende invece la possibilità di ritirare del tutto il processo di Brexit.

Backstop: è la «polizza» per garantire che non venga eretto alcun confine fisico tra Irlanda e Irlanda del Nord, anche in caso di Brexit senza tutele diplomatiche. È uno dei nodi più controversi dell’intero processo di Brexit: i conservatori più intransigenti e il Democratic unionist party, un partito di destra nordirlandese, sono sfavorevoli perché temono possa fare da preludio a una frammentazione del Regno Unito o a una permanenza di Londra nello spazio unico doganale.

GUARDA IL VIDEO / Brexit, tutti i danni del no-deal sulle economie europee (e l'Italia)

Camera dei Comuni: è l’equivalente della nostra Camera dei deputati. È composta da 650 membri, ribattezzati «member of parliament» o semplicemente Meps, eletti a suffragio universale e con un sistema elettorale maggioritario. Ogni deputato rappresenta una «costituency», un collegio elettorale. La sua funzione è di proporre nuove leggi e di vigilare sulle politiche del governo. La Camera alta è rappresentata invece dalla Camera dei Lords (House of Commons), formata da un numero variabile di membri indicati direttamente dalla Regina. Attualmente le personalità «candidabili» ai lavori della Camera alta sono 800

Customs unions: è l’unione doganale e, nel dettaglio, quella concordata nella Ue. Si tratta di un’area di libero commercio dove vengono applicati dazi comuni a tutte le merci importate da paesi terzi rispetto alla Ue. Quando si parla di una Brexit «soft», si intende un divorzio che contempli la permanenza di Londra nell’unione doganale: in caso contrario, il Regno Unito si trasformerebbe ufficialmente in un paese terzo, al pari degli Stati Uniti o della Cina. Il problema? Un evidente aumento dei costi delle tariffe , con ricadute anche sul prezzo finale dei beni (o sulla loro classificazione)

Deal e no-deal:deal significa accordo. Nel caso della Brexit si allude, quasi esclusivamente, all’accordo di ritiro di Londra dalla Ue strappato da Theresa May ai partner europei. Il «no-deal» equivale invece all’ipotesi, diventata sempre più verosimile, di un’uscita di Londra senza il paracadute di accordi diplomatici che traghettino Londra fuori dalla Ue, con ripercussioni pesanti sia sull’economia britannica che sui mercati europei

European research group (Erg): un gruppo interno al Partito conservatore, orientato su posizioni aspramente euroscettiche. Il suo attuale presidente è Jacob William Rees-Mogg, il deputato ultraconservatore che ha osteggiato la linea di May nel divorzio dalla Ue (per poi riposizionarsi di recente, nel timore di una rottura no-deal)

Democratic unionist party (Dup): vedi anche backstop. Partito nordirlandese di orientamento «unionista», ovvero favorevole alla permanenza dell’isola nel Regno Unito. All’infuori della questione irlandese, sua ragione di nascita nel 1971, il partito si inclina su posizioni euroscettiche e conservatrici, soprattutto sui diritti civili. È rappresentato alla Camera dei Comuni da 10 deputati

Hard Brexit, Soft Brexit: l’Hard Brexit è simile al principio del no-deal, quindi una rottura brusca dalla Ue, anche se con il presupposto di trattare successivamente per accordi di libero scambio. La «Soft Brexit» è il progetto di un divorzio dalla Ue che includa misure di salvaguardia alla propria economia come la permenenza nel mercato unico europeo, l’adesione all’unione doganale o la stipula di ulteriori accordi bilaterali prima dell’uscita definitiva

Indicative votes (voti indicativi): voti che permettono ai deputati di esprimersi su opzioni alternative all’accordo siglato da May con l’Europa. Non hanno un valore vincolante ma possono rappresentare la linea maggioritaria della Camera dei Comuni. O meglio, potrebbero rappresentare: per ora, tutti 12 voti indicativi sono stati bocciati dai parlamentari

Meaningful vote (voto significativo): è il voto chiesto alla Camera dei comuni sugli accordi fondamentali per la Brexit, vale a dire l’accordo siglato da Theresa May con i partner europei. Erano tre «voti significativi» quelli che hanno sancito altrettante sconfitte di May con 230, 149 e 58 voti dis carto

Speaker: è l’autorità principale della Camera dei Comuni, eletta direttamente dai parlamentari. Deve gestire i dibatitti, mantenendo l’ordine e assegnando la parola a chi lo richiede. È a sua volta un deputato, ma deve mantenersi imparziale rispetto alle questioni di merito. L’attuale speaker, il 157esimo nella storia del parlamento inglese, è John Bercow, il conservatore - eretico - salito alla carica nel 2009

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