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Libia, si stringe attorno a Tripoli la morsa del generale Haftar

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Servizio |un paese nel caos

Libia, si stringe attorno a Tripoli la morsa del generale Haftar

La speranza è che possa essere solo una dimostrazione di forza. Il timore - questa volta fondato - è che la resa dei conti sia davvero arrivata. Il generale Kalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, il 4 aprile ha dato ordine al suo esercito di avanzare sulla capitale Tripoli per liberarla dalle milizie rivali.

In un audio postato su Facebook, con la scritta «Operazione per la liberazione di Tripoli»,il generale libico ha lanciato il suo messaggio. «Eccoci Tripoli... È venuto il momento del nostro appuntamento con la conquista».Haftar ha poi promesso di risparmiare i civili, le istituzioni dello Stato e i cittadini stranieri, chiedendo ai miliziani di deporre le armi e issare «bandiera bianca per garantirsi la sicurezza».

Immediata la risposta delle forze del Governo di Accordo nazionale (Gna), l’Esecutivo riconosciuto e sostenuto dalla Comunità internazionale, in prima linea dall’Italia, guidato dal premier libico Fayez al-Serraj, che controlla, anche se a fatica, la capitale della Libia e la Tripolitania. «Le nostre forze sono pronte nelle loro postazioni a respingere qualsiasi attacco che arrivi da fuori», ha ribattuto il comandante della zona militare di Tripoli, Marawan ad al-Ahrar. Il governo di Serraj ha decretato lo stato di emergenza massima. Il capo dell’aviazione libica ha mobilitato i caccia militari con l’ordine di fermare l’avanzata dell’esercito di Haftar. Misurata, la città militarmente più potente della Libia, ha ordinato ad alcune sue milizie di spostarsi a difesa della capitale. Mercoledì le forze di Haftar avevano preso il controllo di Gharian, città strategica 100 km a sud di Tripoli.

Che cosa è accaduto? Solo due mesi fa,il 28 febbraio, Haftar e Serraj si erano incontrati ad Abu Dabi, negli Emirati Arabi Uniti. Le cose erano andate meglio del previsto. Tanto che l’inviato dell’Onu per la Libia, il libanese Ghassan Salamé,aveva annunciato in un tweet: i due leader si sono accordati «sulla necessità di terminare la transizione nel Paese attraverso elezioni generali e sulle modalità per mantenere la stabilità della Libia e unificare le sue istituzioni».

Il passo successivo, il più importante, sarebbe stata la Conferenza nazionale, il grande vertice organizzato da Salamé nell’oasi di Ghadames, nel sud-ovest del Paese, per il 14 e 16 aprile. Un vertice a cui avrebbero dovuto partecipare 120-150 rappresentanti delle diverse anime della Libia. Doveva trattarsi, insomma, della prima tappa della road map, il cui obiettivo ultimo erano le elezioni, presidenziali e politiche, entro fine anno. In verità due soli giorni per sbrogliare una matassa formatasi in sette anni erano apparsi troppo pochi. La lista dei partecipanti era poi confusa e non contemplava i rappresentanti tribù di rilievo. Peraltro si teneva poco conto delle interferenze straniere. Haftar è appoggiato apertamente da Egitto e Emirati Arabi, che lo vedono come un baluardo contro i movimenti islamisti. Ma ha più che buone relazioni anche con Francia e Russia. Serraj ha il supporto dell’Onu, dell’Italia, e della Turchia, che privilegia tuttavia i fratelli musulmani presenti in Tripolitania.

Non è quindi una coincidenza che l’annuncio dell’offensiva di Haftar avvenga a meno di dieci giorni della Conferenza nazionale. Nel dicembre 2015, nella città marocchina di Shikrat vennero gettate le basi per il primo Governo di accordo nazionale. Haftar non era nemmeno stato invitato. Troppo ostile agli islamisti, anche moderati. L’obiettivo era di porre fine a quasi due anni di guerra tra due governi, un esecutivo ombra formato da islamisti a Tripoli e l’altro in Cirenaica. Nel Governo di unità nazionale, che prese vita nel marzo 2016, fu nominato premier al-Serraj. Doveva essere l’uomo nuovo della Libia. In realtà, per quanto volenteroso, non è riuscito a creare il consenso necessario. Tanto che i suoi rivali lo chiamano il sindaco di Tripoli. In soli tre anni Haftar è invece divenuto di gran lunga l’uomo più forte di tutto l’ex regno di Muammar Gheddafi. Dispone della milizie più potenti, 20mila uomini al suo diretto comando. Controlla non solo la Cirenaica, ma ormai anche gran parte della vasta regione desertica meridionale del Fezzan. Le sue milizie sono riuscite a conquistarla in poco più di due mesi, da gennaio a febbraio, venendo a patti con molte tribù. Arrivando a controllare el-Gatrun, località sulle principali vie di comunicazione che collegano la Libia a Niger e Ciad.

Nella sua avanzata a sud l’astuto generale è riuscito a compiere il suo disegno: mettere le mani su quasi tutti i grandi giacimenti petroliferi del Paese. In un gesto di buona volontà li ha poi restituiti alla Noc, la compagnia petrolifera nazionale, i cui quartieri generali si trovano a Tripoli. Ma le sue milizie sono stanziate nelle vicinanze dei pozzi. Pronte a riprendere il controllo se dovesse essere necessario.

Definire Haftar “uomo forte della Cirenaica” oggi è riduttivo. Se alla fine si riuscirà a evitare un conflitto aperto, Haftar si pone comunque come l’interlocutore in grado di dettare le sue condizioni in una possibile altra Conferenza nazionale. Se mai ci sarà. Quella del 14 aprile sembra a questo punto improbabile.

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