Se non è un’investitura, poco ci manca. Marine Le Pen, leader del partito di destra nazionalista Rassemblement national, ha dichiarato che Matteo Salvini avrà «incontestabilmente» la leadership dell’internazionale di partiti sovranisti che si riunirà per la prima volta a Milano lunedì 8 aprile. In un primo momento il vertice del gruppo, in via di costruzione per le Europee di maggio, aveva fatto parlare di sé soprattutto per l’assenza della leader francese e di un altro peso massimo come il primo ministro ungherese Viktor Orbán. Le Pen aveva già chiarito che avrebbe aderito a distanza, ma adesso è arrivata la conferma a tutti gli effetti: «A Matteo - dice Le Pen in un’intervista al Corriere della Sera - abbiamo delegato il compito di costruire un gruppo, il più largo possibile». Diverso il caso di Orbán, il politico magiaro che si è trasformato in una sorta di bandiera del sovranismo europeo.
Orbán è a tutt’ora membro del Partito popolare europeo, la famiglia del centrodestra che è arrivata sul punto di espellerlo per violazioni dello stato di diritto(soprattutto sulla questione migratoria) e una serie di campagne anti-europee finanziate con denaro pubblico. Le tensioni si sono risolte con un compromesso, ma i rapporti restano in bilico. Una partecipazione al summit di Milano, a quanto scrive la stampa locale, potrebbe produrre un ulteriore elemento di attrito con il suo gruppo al parlamento europeo. Nonostante le varie frizioni, l’esecutivo di Budapest non sembra aver intenzione di smarcarsi davvero dalla sua «casa» europea, a maggior ragione a meno di due mesi dalle elezioni europee e nella direzione di un’alleanza che deve ancora formarsi ufficialmente.
Chi ci sarà e chi non ci sarà a Milano
Fino ad oggi, i primi passi della «internazionale» vagheggiata da Salvini non sono sempre andati nella direzione sperata.
L’obiettivo di fondo del vicepremier, a quanto è trapelato, sarebbe quello di orchestrare la nascita di un gruppo politico
capace di fare da raccordo fra tutte le varie sigle della destra nazionalista in Europa. Oggi i partiti dell’area sono divisi
fra l’Europa delle libertà e della democrazia diretta (la sigla che ospitava anche i Cinque stelle e la destra pro-Brexit dello Ukip di Nigel Farage) e l’Europa delle nazioni e delle libertà, forza più smaccatamente nazionalista dove si erano domiciliati la stessa Lega e il Rassemblement national di Marine Le Pen.
Altri due «pesi massimi» come il polacco Diritto e giustizia e l’ungherese Fidesz hanno sempre preferito restare nell’alveo
di gruppi più moderati, come il gruppo dei Conservatori e riformisti europei (nel caso di Diritto e giustizia) e, appunto, i Popolari nel caso di Fidesz di Orban.
Fra i vari inviti inoltrati dalla Lega, sono alcuni hanno ricevuto una risposta positiva. A quanto aveva già anticipato il quotidiano la Stampa, saranno presenti gruppi minori come il Partito del popolo danese (attuale stampella al governo di centrodestra di Copenaghen), i Veri finlandesi (partito di Helsinki, sempre in appoggio all’esecutivo) e soprattutto Alternative für Deutschland (Afd), il partito di destra nazionalista tedesco che conta oggi 91 rappresentanti nel parlamento di Berino. Raggiunto dal Sole 24 Ore, un portavoce dell’Afd conferma che il partito sarà rappresentato a Milano dal presidente Joerg Meuthen. Nonostante l’assenza fisica della leader, come abbiamo visto, il Rassemblement national di Le Pen ha ribadito di essere parte integrante del progetto. Niente da fare, invece, per due sigle che rappresentano il cosiddetto blocco dei Paesi di Visegrad: Diritto e giustizia e Fidesz. I primi non gradiscono le sintonie del Carroccio con la Russia di Putin, anche se dovrebbero avviare un accordo dopo il voto di maggio. A gennaio il vicepremier era volato in Poloniaper tentare di impostare un dialogo privilegiato con Varsavia, ma il feeling non sembra essersi tradotto in un’intesa elettorale. I secondi, come si è visto, preferiscono mantenersi formalmente nel circuito del centrodestra, spingendo semmai per una radicalizzazione della linea dei Popolari. Lo stesso Orbán non ha mai nascosto la sua ambizione di cambiare «dall’interno» il programma del Ppe, inclinandolo in maniera più netta verso contrasto all’immigrazione, controllo delle frontiere, «salvaguardia dei valori cristiani» dell’Europa e un ridimensionamento dei poteri Ue in favore di maggiori autonomie nazionali.
Il peso reale del gruppo e i rischi di un «collage fra destre»
La domanda che incombe sull’iniziativa di Salvini riguarda, anche, il peso effettivo della sua alleanza in vista del voto
di maggio. È vero che le forze sovraniste sono in buona crescita, rispetto al voto del 2014, ma si parlerebbe comunque - ottimisticamente
- di un totale di 60-70 seggi su un’Eurocamera che ne conterà 705 o 751, a seconda che il Regno Unito finalizzi o meno il
processo di Brexit prima delle Europee a maggio 2019. Le ultimi proiezioni del Parlamento Ue hanno attribuito all’Europa delle nazioni e delle libertà, grosso modo coincidente con la platea di partiti corteggiati da Salvini, un totale di 61 seggi (27 solo quelli della Lega,
uno dei partiti più in crescita su scala continentale). Aggiungendo i 13 seggi stimati per Alternative für Deutschland, oggi
appartenente all’Europa delle libertà e della democrazia diretta, si arriva a 74. Meno di un decimo del totale del Parlamento e, soprattutto, appena sopra i livelli del gruppo dei Conservatori e riformisti, la dimora europea della destra post fascista di Fratelli d’Italia: 53 seggi, senza considerare però un eventuale afflusso
di deputati conservatori britannici in caso di proroga estensiva della Brexit.
Numeri a parte, c’è chi ha già messo in dubbio la tenuta di una «internazionale di nazionalisti», una contraddzione in termini che esprime il tentativo di europeizzare la destra radicale nella Ue. Un terreno di scontro abituale potrebbeessere la politica economica, dove la linea fra i vari partiti è influenzata (anche) dalla provenienza geografica. La tedesca Afd non hai nascosto, ad esempio,le sue insofferenze per «l’orrendo indebitamento italiano», arrivando all’attacco diretto nei confronti della Lega di Salvini. E anche nell’internazionale guidata da Salvini dovrebbero convivere partiti di ispirazione sociale e iperliberista, affezionati al welfare o inorriditi all’idea di una «invasione dello Stato» nella libertà di impresa. La contraddizione che ne emerge, però,potrebbe scalfire solo in minima parte la solidità del progetto.
Come spiega Manuela Caiani, professoressa al dipartimento di Scienze politiche e sociologia della Scuola normale superiore di Pisa, «la dimensione economica non è mai stata così determinante, nell’identità di queste forze - dice - Gli elementi caratterizzanti sono altri: nazionalismo, xenofobia, ostilità all’establishment e valori “conservatori”, ad esempio nella recente battaglia contro la presunta teoria del gender». Caiani intravvede semmai un certo potenziale, dettato da un fattore di dirompenza rispetto agli equilibri dell’Eurocamera: «Per la prima volta la destra radicale si unirebbe in unico partito europeo - spiega - Dandosi così una “casa” unica nella Ue. Se poi possa funzionare, lo capiremo a maggio».
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