È la rivincita di Pedro Sanchez. Anche se per governare il leader socialista dovrà di nuovo chiedere aiuto agli indipendentisti catalani.
Ed è il disastro politico di Pablo Casado che ha portato i Popolari in un terreno sconosciuto, pericolosamente vicino all'irrilevanza nel nuovo Parlamento.
«Il Partito socialista ha vinto le elezioni. E con noi – ha detto Sanchez alla folla in festa a Madrid nella notte – ha vinto
il futuro mentre ha perso il passato». Davanti ai militanti che urlavano «No pasaran!» e «Si se puede!» e «Con Ciudadanos
no!». Sanchez ha ribadito che «la Spagna è una democrazia solida e di qualità che vuole guadare avanti», ha sottolineato che «la Spagna ha mostrato all’Europa e al mondo che le forze progressiste possono battere con il voto democratico
l’autoritarismo della destra». E ha detto di essere «pronto a guidare il prossimo governo della Spagna» perché «vincere le elezioni vuol dire riuscire a formare un governo» che «dovrà guardare al futuro e all'Europa». Senza escludere alcun accordo, anzi mettendo come unico limite alle alleanze «il rispetto dei valori della Costituzione».
Nel voto del 28 aprile in Spagna, il terzo in tre anni e mezzo, il Partito socialista ha confermato le previsioni balzando al 28,7% dei consensi e conquistando così 123 seggi, 37 in più rispetto al passato Congresso. Impressionante il crollo dei Popolari che sono scesi al 16,7% ottenendo 66 seggi, meno della metà di quanti ne avevano.
Buono il risultato di Ciudadanos, il movimento di Albert Rivera, che spostandosi verso destra e togliendo spazio ai Popolari ha ottenuto 57 seggi con il 15,8% dei consensi. Mentre Podemos, la formazione di sinistra guidata da Pablo Iglesias, è sceso da 71 a 42 deputati con il 14,3 per cento.
Per la prima volta dalla fine della dittatura franchista entra in Parlamento un partito nazionalista e xenofobo: nonostante sia stato ridimensionato dalle urne rispetto alle sue aspettative, Santiago Abascal ha infatti condotto Vox fino al 10,26% che varranno 24 seggi. Ai catalani della Sinistra repubblicana vanno 15 seggi e ai catalani conservatori di JxCat 7, ai baschi del Pnv 6 seggi,
agli altri schieramenti minori i restanti 10 seggi.
Altissima la partecipazione: il 28 aprile ha votato il 75,78% degli spagnoli iscritti alle liste elettorali, ben sei punti percentuali in più del 2016.
Dalle elezioni più confuse della storia democratica spagnola esce come previsto un Parlamento molto frammentato nel quale cinque partiti si dividono i consensi lasciando, secondo tradizione, qualche decina di deputati ai partiti nazionalisti e regionali, da quelli dei Paesi Baschi a quelli della Catalogna: pochi ma sempre decisivi per il prossimo governo. La contrapposizione sulle richieste di indipendenza della regione di Barcellona dopo aver dominato la campagna elettorale è destinata infatti a condizionare profondamente ogni negoziato e ogni accordo per salire alla Moncloa.
Non c’è una coalizione in grado di raggiungere i 176 seggi e quindi la maggioranza assoluta dei 350 seggi che compongono il Congresso, la Camera bassa del Parlamento, decisiva nel sistema spagnolo.
La coalizione più probabile e compatta, almeno sulla carta è quella di sinistra formata dai Socialisti e da Podemos che riuscirebbe a conquistare 165 seggi. Iglesias ha ribadito anche il 28 aprile nella
notte «la disponibilità di Podemos a lavorare per realizzare un governo di coalizione della sinistra». Che avrebbe tuttavia
bisogno del sostegno dei partiti nazionalisti regionali per raggiungere la maggioranza assoluta e formare un governo stabile.
Dovrebbe quindi trovare un accordo non solo con i baschi ma anche con gli indipendentisti della Catalogna. A loro volta divisi
tra i conservatori intransigenti, vicini a Carles Puigdemont (l'ex presidente della Generalitat fuggito all'estero per non
finire in carcere con l'accusa di ribellione) e la Sinistra repubblicana di Oriol Junqueras (che invece è in carcere da quasi
due anni e sta affrontando il processo) più realisti e propensi a negoziare con Madrid.
La destra si è divisa in tre a tutto danno dei Popolari, che assieme a Ciudadanos e Vox riescono a mettere assieme solo 147
seggi e non hanno altre possibilità di accordi in Parlamento.
«Sarebbe tutto più facile se Ciudadanos non si fosse spostato tanto a destra: un patto di governo tra Socialisti e Ciudadanos
potrebbe fare molto bene alla Spagna», dice un funzionario socialista vicino a Sanchez che non ha mai visto di buon occhio
l'accordo con la sinistra massimalista di Podemos. Secondo molti analisti questo accordo che metterebbe assieme 179 deputati non è da escludere del tutto, una volta che si siano
calmati i toni della campagna.
Come non è da escludere che i partiti non riescano a coalizzarsi e la Spagna di conseguenza ripiombi in una fase di paralisi
politica senza governo e sia costretta a tornare al voto nei prossimi mesi. Un'eventualità che potrebbe avere anche ripercussioni
sulla tenuta dell'economia che deve già fare i conti con il rallentamento della crescita dell'Europa. Oltre che sulla credibilità
del Paese e sulla fiducia degli investitori.
Il grande sconfitto, il Partito popolare si interroga ora sulla leadership di Pablo Casado: è sceso addirittura sotto il tetto del 20% che molti analisti consideravano invalicabile mentre i suoi sostenitori si dividono
tra il rimpianto dell'ex premier Mariano Rajoy e le strategie di José Maria Aznar, ex premier anch'egli e per alcuni grande
regista di questa batosta. «La destra ha sbagliato tutto, Casado ha lasciato il centro e ha perso gli elettori di destra», commentano dentro a Ciudadanos, soddisfatti del risultato del partito ma delusi dalla sconfitta del fronte unionista che
dovrebbe contrastare la deriva indipendentista catalana e anche «gli accordi di Sanchez con i partiti catalani». Rivera ha
mostrato con orgoglio il risultato del voto e ha fatto capire che non cercherà alcun accordo con i Socialisti rilanciando
le ambizioni di «governo alle prossime elezioni».
È stata comunque la rivincita di Sanchez che dovrebbe ricevere nei prossimi giorni, da re Filippo VI, l'incarico di formare il governo. Sanchez ha sconfitto prima
di tutto la vecchia guardia interna ai Socialisti che lo aveva brutalmente estromesso dal vertice del partito; è riuscito
a detronizzare Rajoy guidando le opposizioni in un avventuroso voto di sfiducia; e ora dopo aver quasi doppiato i Popolari
in Parlamento potrebbe riuscire a riportare i Socialisti al governo dopo 11 anni.
Ma è anche la rivincita della Catalogna e dei suoi leader che dopo aver dominato la campagna nazionale con il tema dell’indipendenza sono ora pronti a sfruttare i
loro seggi a Madrid per arrivare almeno a una maggiore autonomia della regione di Barcellona. Toccherà a Sanchez governare
anche questo.
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