NEW YORK - Niente accordo. Dazi aumentati. Ma si continuerà a trattare. L'undicesimo round dei negoziati commerciali tra Stati Uniti e Cina si è concluso ieri, dopo due giorni di trattative a
Washington, senza arrivare a un'intesa. Poche ore dopo l'entrata in vigore dell'aumento dei dazi americani. La Cina è pronta
a introdurre dei contro-dazi in risposta. Per ora non lo hanno fatto.
Su Twitter Donald Trump ha detto che «non c'è alcuna fretta per raggiungere un accordo. I dazi li abbiamo alzati e arriveranno
più soldi nelle casse del Tesoro». Il presidente ha parlato di negoziati «franchi e costruttivi» e ha ribadito che i suoi rapporti con il presidente cinese Xi Jinping restano «molto forti». Si continuerà a negoziare, a Pechino, ma la data non è stata resa nota.
Il dialogo tra Usa e Cina va avanti dunque, ma il segretario al Tesoro Steven Mnuchin ha consegnato nelle mani del vicepremier cinese Liu He quello che suona come un ultimatum: Pechino ha da tre a quattro settimane per raggiungere un accordo, altrimenti scatteranno altri dazi, per colpire tutte le esportazioni della Cina. Prima dell’incontro tra i due presidenti al G 20 in Giappone.
Fonti cinesi confermano che i negoziati non si sono interrotti. Entrambe le parti sostengono che le consultazioni sono state «costruttive e continueranno nel prossimo futuro». Il quadro di fondo non è cambiato di un millimetro. Gli Stati Uniti chiedono alla Cina di eliminare gli aiuti pubblici alle aziende e una maggiore tutela della proprietà intellettuale. La Cina vuole che con l'accordo vengano cancellati tutti i dazi.
Il capo delegazione Liu in una intervista rilasciata alla fine dei negoziati ha detto che «la Cina non farà nessuna concessione in materia di principi». L'amministrazione Trump, come ha annunciato ieri il capo delegazione Robert Lighthizer, sta preparando altri dazi sui 325 miliardi di export cinese rimasto al di fuori dalle tariffe punitive.
Le tensioni commerciali tra le due superpotenze hanno condizionato i mercati finanziari in tutto il mondo. Per le borse quella
che si è appena chiusa è stata la settimana peggiore dell'anno. Wall Street ieri in chiusura ha recuperato sull'onda dell'ottimismo
per alcune dichiarazioni di Trump sulla possibilità di raggiungere un accordo e sull'eventuale eliminazione dei dazi.
Subito dopo l'entrata in vigore dell'aumento delle tariffe dal 10 al 25% che hanno colpito 5.700 categorie di prodotti cinesi
per 200 miliardi di dollari di export alla mezzanotte e un minuto di venerdì, l'indice Dow Jones era scivolato di oltre 340
punti, al di sotto del livello del 22 gennaio 2018, data di inizio delle dispute commerciali con la Cina quando Trump impose
le prime tariffe sulle lavatrici.
I trader sperano che le prime due potenze mondiali, che producono circa il 40% del Pil globale, giungano a una soluzione positiva
dei negoziati per togliere di mezzo la volatilità dei mercati e il rischio di una frenata dell'economia globale.
Trump in un altro tweet, dai toni più elettorali, ha spiegato che «l'accordo aiuterà i nostri grandi agricoltori» e «le tariffe
renderanno il nostro paese più forte, non debole». E ha affondato una stilettata poco elegante al candidato alla nomination
democratica Joe Biden, suo probabile rivale alle prossime elezioni presidenziali: «Questa non è l'amministrazione Obama, o
l'Amministrazione dello ‘Sleepy Joe'», ha scritto.
Il ministero per il Commercio cinese ha espresso «profondo dispiacere» per l'entrata in vigore dei dazi al 25% e ha ribadito che sono pronte per le contromisure cinesi. Senza precisare però quando e se entreranno in vigore. Finora la Cina ha introdotto dazi su 110 miliardi di prodotti made in Usa che toccano solo un terzo dell'export americano. Pechino inoltre potrebbe decidere di reintrodurre la super tassa del 25% sui Suv made in Usa sospesa nei mesi scorsi. La
Cina, primo mercato mondiale dell'automotive per vendite, è il secondo mercato di esportazioni per le auto americane: le vendite
sono scese dai 206mila veicoli del 2017 ai poco più di 100mila dello scorso anno, stando ai dati dell'Associazione mondiale
dei carmaker, che è contraria alla guerra commerciale. Così come lo sono decine di multinazionali americane che si sentono
danneggiate dalle tensioni tariffarie e lamentano le perdite di ricavi dal rallentamento degli scambi e dei consumi cinesi.
Sull'altro capitolo dei nuovi dazi al 25% minacciati da Trump per i 325 miliardi di dollari di prodotti cinesi rimasti per ora fuori dalla stretta dei dazi Usa – tra cui le scarpe sportive
Nike, i telefonini con l'elettronica di consumo Apple e i giocattoli – il presidente ieri ha confermato l'apertura del fascicolo
per avviare la procedura.
Trump continua a ripetere che comunque andrà a finire si arriverà al risultato migliore per gli Stati Uniti. La Cina invece vuole che l'accordo commerciale debba prevedere l'eliminazione di tutti i dazi. In questo muro contro muro i negoziati si spostano ora a Pechino. L'aumento dei dazi è in vigore dal 10 maggio e verrà applicato ai primi container spediti dalla Cina. Ma c'è una finestra
temporale di un paio di settimane, come ha fatto notare un analista di Goldman Sachs, prima che le tariffe vengano di fatto
applicate. Tempo, insomma, ancora per trattare. Sperando che la corda nel frattempo non si rompa.
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