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Usa-Iran, perché nel Golfo la tensione continua a salire

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Usa-Iran, perché nel Golfo la tensione continua a salire

Una guerra tra Stati Uniti e Iran? A parole tutti dicono di non volerla, anche lo stesso presidente americano Donald Trump o il team di falchi di cui si è circondato. La realtà, tuttavia, suggerisce un’altra versione. Mese dopo mese, settimana dopo settimana, e da un po’ di tempo giorno dopo giorno, si stanno accavallando una serie di precedenti potenzialmente capaci di gettare le basi per un casus belli.

La giornata di ieri è stata particolarmente ricca di segnali preoccupanti. A partire dall’annuncio iraniano di aver sospeso gli obblighi previsti dall’accordo sul nucleare (Jpcoa) relativi alle riserve in eccesso di uranio arricchito.Il Jpcoa prevede che non superino i 300 kg e che il resto vada esportato. Teheran ha tuttavia precisato che, se entro 60 giorni raggiungerà un accordo con i partner, tornerà a rispettare i limiti previsti. Sul fronte opposto il Dipartimento di Stato americano ha ordinato al personale non essenziale dell’ambasciata Usa a Baghdad e del consolato a Erbil di lasciare l’Iraq. Il motivo è sempre lo stesso; non meglio precisati rapporti di non meglio precisate minacce iraniane agli interessi ed ai cittadini americani. Gli Stati Uniti hanno in Iraq ancora 5mila militari impegnati in compiti di addestramento dell’esercito iracheno.

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In questo durissimo confronto che si è acuito da quando Trump, l’8 maggio del 2018, ha annunciato l’uscita degli Usa dal Jpcoa e la riprese delle sanzioni, la gran parte delle iniziative potenzialmente pericolose, definite “provocazioni”da chi non le condivide, arrivano dal bellicoso entourage di Trump, guidato da due noti falchi: il segretario di Stato Mike Pompeo e soprattutto il consigliere alla sicurezza nazionale John Bolton, l’uomo che nel 2015 esprimeva così la sua posizione nei confronti del programma nucleare: «To stop Iran bomb, bomb Iran» .

Nonostante da giorni Trump ripeta che non vuole una guerra con l’Iran, dichiarazione ripetuta ieri anche dall’ayatollah Ali Khamenei, l’influente guida spirituale iraniana, sembra che si stia creando il contesto per un nuovo conflitto, dalle conseguenze imprevedibili. Diversi Paesi, tra cui quelli europei, oltre a Cina e Russia, appaiono scettici sulle veridicità delle presunte minacce iraniane rese note da Washington. Tutto è ancora molto vago e confuso. Lo sono quei non meglio precisati rapporti dell’Intelligence citati da Pompeo e Bolton, quei misteriosi attacchi alle petroliere saudite nelle acque degli Emirati Arabi Uniti(non sono stati ancora rese note prove e dettagli), come l’altrettanto misterioso bombardamento da parte di droni a due stazioni di pompaggio saudite (le immagini satellitari relative ad una stazione non evidenziano danni da bombardamento). L’impressione è che si voglia arrivare a quella pistola fumante mediorientale che legittimerebbe un’azione militare contro l’Iran.

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In questo contesto fa specie la risposta diffusa da Baghdad dal generale britannico Christopher Ghika, vicecomandante della coalizione militare contro l’Isis guidata dagli Usa: «Non c’è un aumento della minaccia da parte delle forze sostenute dall’Iran in Iraq e Siria», ha precisato Ghika, contraddicendo quanto sostenuto dal Commando centrale delle forze armate Usa. Preoccupato, Jeremy Hunt, il Segretario di Stato britannico per gli affari esteri, ha avvertito del pericolo che un incidente possa scatenare un conflitto. In prossimità delle acque del Golfo Persico si trovano la portaerei Lincoln con 50 aerei da combattimento, 5 navi da guerra più il gruppo da assalto anfibio. Gli Usa hanno poi schierato batterie di missili Patriot in Qatar ed hanno inviato i grandi bombardieri B-52. Allarmata dai dispiegamenti militari americani, la Spagna ha deciso di ritirare, in via temporanea, la sua fregata impegnata in esercitazioni nel Golfo con il gruppo navale della portaerei Lincoln. Il ministero tedesco della Difesa ha annunciato la sospensione delle attività di addestramento dell’esercito iracheno da parte dei militari tedeschi presenti in Iraq a causa delle crescenti tensioni. Decisione adottata anche dall’Olanda.

In questo clima rovente l’Ayatollah Khamenei ha gettato benzina sul fuoco, precisando che non sarebbe affatto difficile per l’Iran arrichire l’uranio a gradazioni idonee a sviluppare un ordigno nucleare (90%). Da quando ha siglato il Jpcoa, Teheran ha adempiuto agli obblighi (tra cui non arricchire l’uranio oltre la soglia del 3,67%). Lo certificano 14 relazioni dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Ma le sanzioni petrolifere Usa, entrate in vigore effettivamente pochi giorni fa, e che mirano ad azzerare l’export iraniano di greggio, metterebbero in pochi mesi l’economia iraniana in ginocchio. Teheran non vuole assistere al suo tracollo senza far nulla. La guerra che nessun dice di volere non è più uno scenario remoto.

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