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Dossier | N. 52 articoli L’Europa dopo il voto

Il fronte europeista tiene, ma i governi di Francia e Germania si indeboliscono

L’Europa politicamente più eterogenea e difficile da gestire che promettevano i sondaggi è arrivata. Sono cresciute le forze populiste - non abbastanza da ribaltare i rapporti di forza - e anche questo era atteso. E ha tenuto bene il fronte europeista, forse meglio del previsto e grazie anche a un’importante avanzata dei Verdi in molti Paesi. Si sono però nel frattempo indeboliti i governi di Germania e Francia, ed è una complicazione non da poco vista la strada intrapresa dal’Italia e ascoltando le voci dei nazionalisti che hanno vinto trasformarsi man mano, in serata, nella notte, in rombo di tuono sovranista, come se avessero conquistato l’intero emiciclo.

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La sconfitta di Emmanuel Macron a vantaggio dell’estrema destra di Marine Le Pen è bruciante, soprattutto se pensiamo a quanto capitale politico aveva speso personalmente nel voto il presidente francese.

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La sua parabola è illuminante: la mutevolezza dell’elettorato in questa fase storica è esasperata: due anni fa aveva vinto con l’Europa, adesso ha perso con l’Europa. Alle spalle si lascia le macerie del cosiddetto fronte repubblicano (neogollisti più socialisti) che nel 2017 egli stesso aveva contribuito a disintegrare e che in passato era stato l’argine tradizionale dell’estrema destra lepenista nei momenti più drammatici della V Repubblica.

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Nonostante siano già pervenute le richieste di scioglimento dell’Assemblea Nazionale e di elezioni politiche anticipate, non gli resta che portare a termine il suo progetto riformista e procedere, magari, a un rimpasto di governo. Dopotutto, Marine Le Pen aveva già vinto alle Europee del 2014 con un consenso analogo. Si è poi visto com’è andata alle presidenziali e alle politiche di due anni fa, a proposito della mutevolezza, della volubilità e del disorientamento dell’opinione pubblica.

Paradossalmente invece, e forse per buone ragioni, è la Germania che potrebbe ricorrere al voto anticipato. L’onda Verde è stata travolgente e il partito che dal 1998 al 2005 governò (bene) il Paese potrebbe nuovamente ambire a ruoli di responsabilità federale. Seconda forza politica tedesca, i Verdi hanno rubato elettori un po’ a tutti i partiti e in particolare alla Spd, crollata miseramente. La tentazione dei socialdemocratici di staccare la spina alla Grande Coalizione con la Cdu/Csu è forte, anche perché gli alleati hanno solo resistito ed evitato il peggio e non possono certo brindare alla vittoria.

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Le possibili alleanze in Europa

Il successo dei Grünen, che volavano alto nei sondaggi già da parecchi mesi se non da un anno grazie a molteplici esempi di buon governo a livello locale e regionale, aveva già cambiato la narrazione di queste elezioni in Germania. Non più, dunque, la paura di un’ascesa dell’ultradestra di AfD, che in effetti non c’è stata, ma l’affermazione di un partito che ha fatto dello sviluppo sostenibile, dell’inclusione sociale e della lotta al cambiamento climatico i capisaldi di un programma davvero europeo, come dimostra il buon risultato dei Verdi anche in Olanda, Francia e Austria. Un’onda Verde molto giovane, inoltre, quella tedesca, che ha raccolto il 33% dei consensi tra quanti hanno meno di 30 anni. E che assieme alle altre “onde” ambientaliste europee diventerà una forza imprescindibile della nuova maggioranza europeista del Parlamento.

Il problema è che questo scossone politico coincide con un vuoto di leadership in Germania. Angela Merkel è sempre più silenziosa e quando parla usa ormai il linguaggio di un’autorità morale. La nuova presidente della Cdu Annegret Kramp-Karrenbauer stenta a raccogliere il testimone e non ha certo il carisma e l’esperienza della cancelliera. I socialdemocratici continuano a risultare non pervenuti e rischiano di fare la fine del Partito socialista francese, che almeno si è risparmiato una lunga e consumante agonia disintegrandosi nello spazio di un turno elettorale.

Se l’è invece cavata egregiamente il cancelliere austriaco Sebastian Kurz – netta la vittoria del suo partito – apparentemente non scalfito dallo scandalo che ha travolto il suo ex alleato di Governo, l’ultradestra dell’Fpö, uscito drasticamente ridimensionato dal voto. Un personaggio interessante e sicuramente da seguire, il 32enne cancelliere, che ha mostrato sangue freddo in un passaggio politico-istituzionale delicatissimo per il suo Paese. Non ha pagato per la scelta di aver voluto assorbire all’interno del proprio governo le istanze più estreme dell’intolleranza e della xenofobia, la fascinazione per la Russia di Putin, ma è stato premiato per averne immediatamente preso le distanze. Nell’ambiguità che continua a circondare il personaggio, una discreta prova di leadership.

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