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Usa-Messico, accordo in extremis. E Trump ritira la decisione sui dazi

Pace o, almeno, tregua fatta tra Stati Uniti e Messico. Scongiurata in extremis l’entrata in vigore di dazi su centinaia di miliardi di dollari di beni che avrebbero messo a grave rischio l’economia di entrambe le nazioni. Ad annunciarlo è stato nella notte tra venerdì e sabato 8 giugno in un tweet lo stesso presidente Donald Trump, che aveva minacciato di scatenare la nuova guerra commerciale da lunedì contro il paese alleato e confinante, accusato di non fare abbastanza per fermare ondate di migranti centroamericani che cercano di arrivare negli Usa per chiedere asilo.

L’intesa, in sostanza, prevede un maggior impegno del Messico a mobilitare truppe della sua Guardia nazionale sull’intero territorio con l’obiettivo di frenare le carovane di migranti. Viene inoltre ampliato un programma statunitense che consente di rispedire in Messico i migranti che sono in attesa di risposte dalla giustizia Usa sulla loro richiesta di asilo per sfuggire a violenza e miseria. E sono prescritte continue trattative per 90 giorni per considerare una maggior cooperazione bilaterale. Non manca tuttavia neppure un monito: se gli interventi non saranno efficaci, sono possibili ulteriori passi.

GUARDA IL VIDEO. Trump e i dazi minacciati contro il Messico

Trump, appena rientrato dal suo viaggio europeo dove ha celebrato l’anniversario dello sbarco in Normandia, ha annunciato via Twitter che «i dazi che dovevano entrare in vigore lunedì contro il Messico sono indefinitamente sospesi. Il Messico da parte sua ha acconsentito di prendere forti misure per fermare il flusso delle migrazioni attraverso il Paese e verso il nostro confine meridionale». Il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador ha confermato la schiarita e che «l’imposizione di dazi sui prodotti messicani esportati negli Stati Uniti è stata evitata».

Una dichiarazione congiunta delle due delegazioni che hanno trattato per tre giorni consecutivi a Washington alla ricerca di un compromesso afferma che il Messico prenderà «misure senza precedenti per l’attuazione di passi che riducano le migrazioni». Più in dettaglio, inizialmente il Messico aveva soltanto offerto di inviare altri seimila soldati al confine con il Guatemala, invece adesso sono previsti sull’intero territorio anche se con particolare presenza proprio lungo la frontiera guatemalteca. L’altra significativa novità è rappresentata dall’espansione di un già esistente programma battezzato Migrant Protection Protocols che ora «farà rientrare rapidamente» i migranti giunti negli Usa in Messico, dove rimarranno mentre attendono le decisioni statunitensi sul loro status. Il rafforzamento del programma comprende l’offerta da parte delle autorità messicane di provvedere a istruzione, assistenza sanitaria e opportunità di lavoro ai rifugiati centroamericani. Oggi il programma riguarda ottomila persone. Gli Stati Uniti, in cambio, accelereranno piani di aiuti e investimenti per lo sviluppo in Centroamerica e nel sud del Messico, parte di un programma da 5,8 miliardi che era ideato l’anno scorso. Il segretario di Stato Mike Pompeo ha aggiunto che «gli Stati Uniti sono impegnati a lavorare assieme al Messico per garantire il rispetto» dei termini dell’accordo e per «rendere più sicuro e forte il nostro confine».

La crisi dei migranti all’origine della vicenda è anzitutto una crisi umanitaria: ad arrivare sono spesso famiglie con bambini, non giovani clandestini strettamente in cerca di lavoro, una situazione che le autorità e il sistema dell’immigrazione statunitense si sono trovati impreparati ad affrontare. Ma per Trump la lotta a quelli che considera eccessi di immigrazione è un pilastro della sua presidenza. La decisione di ricorrere improvvisamente a dazi - inizialmente del 5% e poi fino al 25% nel giro di pochi mesi - su tutto l’import messicano in funzione anti-immigrazione è però parsa gravida di conseguenze potenzialmente catastrofiche per gli stessi Stati Uniti e non solo per la più debole economia del Messico: gli Usa importano ben 350 miliardi di dollari di beni l’anno - 40 milioni ogni ora - dal paese limitrofo, una gamma di prodotti che va dall’agricoltura ai macchinari, dalla chimica al tessile e all’auto. Il settore automobilistico in particolare ha costruito una inestricabile catena di produzione e forniture a cavallo tra i due paesi che rischiava gravi shock da eventuali nuovi dazi: il 17% dei veicoli veduti negli Usa sono made in Mexico.

Lo spettro di rincari dei prezzi e danni all’espansione, oggi già in fase di indebolimento, aveva spinto nelle ultime ore anche numerosi parlamentari repubblicani a minacciare ribellioni contro Trump pur di bloccare i dazi. Numerose aziende e associazioni di business avevano a loro volta preso posizione contro l’offensiva commerciale. Anche i mercati finanziari erano stati scossi dal rischio di escalation degli scontri. Le pressioni per un compromesso, a Washington come a Città del Messico, erano così aumentate man mano che proseguiva il conto alla rovescia verso l’entrata in vigore dei dazi lunedì.

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