Mondo

Dossier Trump accusa l’euro: «È sottovalutato». E la Fed…

  • Abbonati
  • Accedi
    Dossier | N. 12 articoli La guerra dei dazi

    Trump accusa l’euro: «È sottovalutato». E la Fed «distruttiva»

    NEW YORK - Donald Trump si arma e parte per una nuova guerra valutaria, oltre che di politica monetaria e commerciale. In una serie di tweet mattinieri, il Presidente ha aggredito i partner a cominciare dall'Europa accusandola di svalutare la propria divisa, l'Euro, ai danni dell'America e della sua economia: «L'Euro e altre divise sono sottovalutate rispetto al dollaro, mettendo gli Stati Uniti in grande svantaggio».

    L'altro grande bersaglio della nuova crociata del Presidente è stato del tutto interno: la Federal Reserve degli Stati Uniti. Ha accusato la Banca centrale, proseguendo nei suoi tweet, di «non capire nulla», per aver portato i tassi d'interesse «a livelli troppo alti» e aver messo a suo avviso in atto un «ridicolo quantitative tightening», vale a dire una stretta monetaria. Un messaggio condito da numerosi punti esclamativi. E da una considerazione sullo stato dell'economia: ha definito «una cosa bellissima l'inflazione molto bassa» negli Stati Uniti, un aspetto che in realtà preoccupa la Fed.

    Gli assalti alla Federal Reserve sono solo gli ultimi di una nuova offensiva. In un'intervista nelle ore precedenti alla Tv finanziaria americana Cnbc, il Presidente ha alzato il tiro degli attacchi, apostrofando la Banca centrale come «molto distruttiva» per il Paese.

    Ha denunciato quasi personalmente gli esponenti dei suoi vertici: nonostante abbia lui stesso nominato quattro degli attuali cinque componenti del board, che assieme a governatori a rotazione delle sedi regionali formano il comitato di politica monetaria della Fed, ha dichiarato che «non è gente mia». E ha accusato l'istituto centrale, per la sua prudenza nel lanciare nuovi stimoli alla crescita e tagliare i tassi d'interesse, di essere nei fatti un asso nella manica a vantaggio di… Pechino. Quasi una quinta colonna.

    Lo j'accuse presidenziale minaccia di aggravare un clima particolarmente teso, con la guerra commerciale sino-americana in pieno svolgimento tra preoccupazioni per l'impatto sull'espansione globale. Trump che ha minacciato di procedere rapidamente con nuovi dazi su altri 300 miliardi di dollari di import cinese negli Usa se il leader Xi Jinping lo snobberà all'imminente vertice del G20 in Giappone. Dopo aver già fatto scattare aumenti dei dazi dal 10% al 25% su 250 miliardi di import ai quali Pechino ha risposto con rappresaglie su 60 miliardi di made in Usa. Tutto ciò mentre Trump combatte anche su altri fronti: ha raggiunto una tregua che potrebbe pero' rivelarsi ancora fragile su dazi anti-immigrati contro il Messico e non lesina affondi contro la Ue, l'ultimo ieri contro il vino francese.

    Trump e la «diplomazia delle cannoniere»
    La distintiva «diplomazia delle cannoniere» di Trump su economia e commercio, a base di bordate di minacce e ritorsioni, non è però riservata soltanto a rivali o partner che accusa di scorrettezze. La Federal Reserve ne è diventato il caso più eclatante, piu' ancora delle sue polemiche contro il cosiddetto Deep State, lo stato burocratico e i centri di potere tradizionali che vorrebbe tagliargli gli artigli. Se la grande maggioranza degli esperti considera l'indipendenza dalla politica partitica rivendicata dalla Banca centrale una qualità cruciale per la sua credibilità e efficacia, Trump non è affatto fra questi. Al contrario: il vero problema è che lui non ha l'assoluto controllo della Banca centrale americana, come invece Xi ha quello dell'omologa istituzione cinese - quasi invocando, volente e nolente, un modello decisamente autoritario. «Loro svalutano la loro divisa - ha incalzato Trump -. L'hanno fatto per anni. Questo ha garantito loro un enorme vantaggio competitivo. E noi non abbiamo un simile vantaggio perche' abbiamo una Fed che non abbassa i tassi».

    Il Tesoro americano in realtà oggi e da tempo non accusa Pechino di manipolare la sua divisa. Ma Trump non si è fermato, combinando alle sferzate a nemici veri e presunti un ottimismo nazionalista: «Dovremmo avere diritto a una situazione equa, ma anche senza di questa - a causa della Fed, che è molto, molto distruttiva per noi - stiamo ugualmente vincendo». Parlando poi dei singoli esponenti del vertice della Banca centrale ha detto, piu' in dettaglio, che «abbiamo persone nella Fed non sono realmente mie». Ciò nonostante Trump abbia nominato tre nuovi membri del board della Fed oltre a promuovere Jerome Powell, un repubblicano gia' insediato da Barack Obama alla Fed, quale chairman. Deluso dalle sue iniziali nomine, che considera troppo moderate, il Presidente ha provato di recente a scegliere due esponenti di provata fedelta' alla sua Casa Bianca, Herman Cain e Stephen Moore, ma i due sono stati costretti a ritirarsi tra polemiche su scarse qualifiche, scandali e opposizione tra i medesimi parlamentari repubblicani.

    La lunga guerra di Trump alla Fed
    La guerra scatenata da Trump contro la Fed in realtà dura ormai da tempo. Già sul finire dell'anno scorso il Presidente l'aveva definita un «problema maggiore della Cina» per l'economia statunitense. Adesso ha ribadito quel suo risentimento con toni semmai ancora più duri: l'ha fustigata per non avergli «dato ascolto» e di aver compiuto «un grande errore» con i rialzi graduali dei tassi nel 2018 e i piani di rientro dal Qe, voluti dall'istituto centrale per cercare di normalizzare la politica monetaria a avere strumenti a disposizione in futuro proprio per combattere eventuali crisi. Nelle ultime settimane Powell e i suoi colleghi hanno aperto alla possibilità di ricorrere a nuovi allentamenti della politica monetaria in risposta alle maggiori incertezze sulla crescita - e in particolare, paradossalmente, alle tensioni create dai conflitti sull'interscambio. La maggior parte degli operatori non prevede un taglio al prossimo vertice del 18 e 19 giugno ma uno o più interventi potrebbe essere in gioco da luglio in avanti. Gli assalti presidenziali potrebbero però semmai complicare la decisioni della Fed su modi e tempi di qualunque mossa, iniettando l'incognita di pressioni e interferenze politiche. Di una Fed che si presti a «salvare» Trump dalle sue guerre commerciali.

    © Riproduzione riservata

    >