La Federal Reserve ha tenuto fermi i tassi al 2,25-2,5%, ma l’orientamento di politica monetaria è stata leggermente modificato:
le «incertezze sulle prospettive sono aumentate», dice il comunicato, mentre è saltata la parte in cui la Fed appariva «paziente»
nel determinare i futuri aggiustamenti ai tassi. Da ora in poi, semplicemente, la banca centrale Usa «agirà come appropriato,
per sostenere un’espansione con un forte mercato del lavoro e un’inflazione vicina all’obiettivo simmetrico del 2%».
La Fed prepara un taglio dei tassi
Anche l’analisi della situazione economica mostra due novità: gli indicatori relativi agli «investimenti fissi sono stati
deboli», spiega la Fed, mentre le aspettative di inflazione di mercato «sono calate». Sono due elementi che, alla luce del
mandato ufficiale della Fed, lasciano presagire un taglio dei tassi.
Decisione non unanime
Una riduzione del costo del credito è stata sicuramente discussa, nel corso di questa riunione. La decisione di tenere i tassi
fermi non è stata infatti unanime: uno dei governatori, James Bullard, storico presidente della Federal reserve di St. Louis,
avrebbe preferito un taglio immediato di 0,25 punti base al 2-2,25%.
Inflazione in calo
Anche le proiezioni macroeconomiche disegnano un quadro leggermente nuovo, sia pure soltanto per quest’anno. Il pil dovrebbe
continuare a crescere rapidamente: è stato confermato il 2,1% previsto per quest’anno mentre l’1,9% indicato a marzo per il
2020, è stato “corretto” al rialzo, al 2%. È l’inflazione a essere più debole: 1,5% quest’anno, contro l’1,8% indicato a marzo,
e 1,9% l’anno prossimo, in calo dal precedente 2%. Anche l’indice core è stato rivisto al ribasso: 1,8% per quest’anno, 1,9%
nel 2020, 2% nel 2021. A marzo le previsioni indicavano un 2% per i tre anni.
Una Fed più colomba
Non è una situazione, quella descritta dalle proiezioni che richiedano però un brusco cambiamento di rotta rispetto a marzo.
Eppure le intenzioni dei governatori sui tassi, espresse dai “dots”, sono radicalmente cambiate. Per quest’anno, si punta
ora - in mediana - a mantenere i tassi al livello attuale, anche se almeno otto governatori, su 17, ora prevedono almeno
un taglio prima di fine anno, e sette ne immaginano due.
Un taglio nel 2020?
Il consensus sembra indicare , al momento, un taglio condiviso l’anno prossimo: l’indicazione per fine 2020 è quindi di tassi
al 2,25%-2,5%, dal 2,5-2,75% di marzo e il 3-3,25% di dicembre. A fine 2021 il costo ufficiale del credito dovrebbe invece
essere tornato al livello attuale (ma a marzo si immaginava che restasse fermo rispetto 2.5%-2,75% indicato per l’anno prossimo).
Tassi neutrali ai minimi dal 2011
Anche il tasso di lungo periodo, quello di equilibrio, è stato abbassato. Dopo aver oscillato a lungo, negli scorsi trimestri,
tra il 3% e il 2,75%, la mediana delle indicazioni dei governatori indica ora il 2,5%. È il livello più basso da dicembre
2011, da quando sono pubblicate queste stime. Significa che per i governatori l’attuale orientamento è ora considerato decisamente
neutro: un taglio dei tassi - se dovesse essere confermata la debolezza, finora relativa, delle aspettative di inflazione
- ne sarebbe ulteriormente giustificato. Dalla conferenza stampa non è emerso però nessun reale motivo che giustifichi questa
revisione di una variabile quasi strutturale dell’economia, sia pure difficilmente stimabile. Si ha l’impressione che sia
cambiato il clima più che la valutazione razionale dei governatori, ma occorrerà aspettare le “minute” della riunione per
sperare in qualche dettaglio.
Nessun consenso per un taglio immediato
È un orientamento nuovo, quindi, quello emerso oggi dalla riunione. Il presidente Jerome Powell, in conferenza stampa, ha
precisato che, al di là del mutato clima sul futuro andamento dei tassi, non c’era però un consenso sufficiente per decidere
un taglio subito: molti dei fattori che hanno spinto a cambiare rotta, ha spiegato, «sono troppo recenti e occorrerà valutarli
meglio». L’atteggiamento, ora, è quello di un “wait and see” che però prepara una politica più accomodante.
Il dollaro? È competenza del Tesoro
Nessun commento è stato fatto sul dollaro, che il presidente Donald Trump considera sopravvalutato. In conferenza stampa,
il presidente ha precisato che la politica valutaria è competenza del Tesoro e «noi non commentiamo il livello del cambio».
A una domanda sulle critiche del presidente alla Banca centrale, Powell ha detto che la Fed non risponde a «funzionari eletti»;
mentre poco prima aveva ricordato di avere un mandato di quattro anni e, ha aggiunto, «intendo svolgerlo tutto». Il presidente
ha anche evitato di valutare gli stimoli promessi dalla Bce: «Tutte le banche centrali - ha detto - hanno un mandato che si
concentra a livello domestico, e questo vale anche per la Bce».
© Riproduzione riservata