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Dossier L’europeista Macron ha perso il contatto con i francesi

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    Dossier | N. 3 articoli Sovranismo o integrazione

    L’europeista Macron ha perso il contatto con i francesi

    Il presidente francese,  Emmanuel Macron, al vertice di Bruxelles del 21 giugno
    Il presidente francese, Emmanuel Macron, al vertice di Bruxelles del 21 giugno

    Due anni decisamente difficili. La luna di miele dei francesi con Emmanuel Macron è finita subito, malgrado il successo alle presidenziali e ancor di più alle successive legislative (32% al primo turno, 49% al secondo); ed è iniziato il lento declino della popolarità. Hanno subito pesato le gaffe del presidente, o meglio i suoi commenti sprezzanti verso i meno fortunati, accompagnati da una forte enfasi per i premiers de cordée, i capocordata, che annunciava una politica economica non lontana dal trickle-down dei liberal-conservatori anglosassoni.

    Le misure concrete hanno confermato questa percezione: Macron, tecnocrate banchiere d’affari della Rothschild, è presto diventato “il presidente dei ricchi”. Nel Paese dell’égalité, Macron ha cancellato l’Impôt sur la fortune, la patrimoniale, e le tasse (a carico delle aziende) sui salari più alti, per attirare investimenti stranieri. Ha promesso poi una legge sulla povertà, ma l’ha rinviata al 2020. Ha tentato di aumentare il potere d’acquisto dei francesi della classe media - che da tempo è particolarmente rigido - ma ha aumentato i contributi sulle pensioni, riducendone l’indicizzazione. L’anno scorso la Francia ha poi visto le ferrovie spesso bloccate per gli scioperi dei ferrovieri, le scuole occupate per le proteste degli studenti, mentre i costi per il trasporto su strada aumentavano (in un Paese che dipende fortemente dall’auto).
    La stessa leadership del presidente veniva macchiata. Un funzionario della sua sicurezza, Alexandre Benalla - che i gossip hanno subito indicato come il suo amante, costringendo Macron a una smentita non richiesta - è stato colto mentre picchiava i manifestanti ed è stato maldestramente coperto dall’Eliseo, diversi ministri e collaboratori si sono allontanati dalla presidenza e dal governo. A cominciare da Gérard Collomb, il responsabile degli Interni che aveva lanciato per tempo l’allarme sullo scontento nelle aree meno urbanizzate.

    I risultati economici
    L’economia, nel frattempo, non andava così male: gli investimenti sono aumentati, la crescita è risultata più rapida che in Germania o in Italia, la disoccupazione è calata, la produttività è salita velocemente.
    La Francia ha però detto un “no” tutto politico alla grande strategia del presidente. L’ha capita e l’ha respinta. Macron ha tentato di ripristinare la grandeur del Paese, per consolidare l’identità nazionale dei cittadini, ma in chiave europea. Non solo e non tanto per frenare l’insidia dei partiti euroscettici, a sinistra e a destra, quanto per rilanciare la leadership francese nell’Unione. Per ottenere questo risultato occorreva innanzitutto acquistare credibilità verso la Germania. Il rigore fiscale - il deficit oltre il 3% di quest’anno è un’anomalia contabile - aveva questo scopo e non si può dire che sia stato eccessivo o restrittivo: in termini assoluti le spese pubbliche sono comunque aumentate.
    Occorreva anche diventare un concorrente temibile della Germania, e anche a questo scopo sono state introdotte le misure “a favore dei più ricchi”: oggi la Francia è, nella classifica della A.T. Kearney, tra i primi cinque Paesi del mondo per capacità di attrarre investimenti, malgrado le teatrali proteste dei Gilets Jaunes. È un risultato importante anche a fini interni, in un’economia appesantita da debiti aziendali pari al 73% del Pil.

    Un riferimento per gli europeisti
    Queste misure hanno permesso a Macron di rilanciare il dibattito sul futuro dell’Unione. Il presidente ha così proposto, nel suo discorso alla Sorbona, un piano di riforme molto ambizioso. È stato in buona parte respinto o modificato - poteva, del resto, essere altrimenti? - ma non si può dire che non abbia contribuito a un riposizionamento dei vari Paesi: la Germania sta cercando una propria, nuova, collocazione; si è creata tra i Paesi del nord una Nuova lega anseatica, più rigorosa; mentre gli stessi Paesi guidati da forze euroscettiche, di fronte al dramma di Brexit, rivedevano in parte le loro posizioni. Oggi Macron è sicuramente il capofila riconosciuto - anche polemicamente - dei politici europeisti.
    Sul piano internazionale, in linea con la antica fede francese verso un sistema multipolare, Macron ha poi voluto riempire il vuoto lasciato da Donald Trump su diversi dossier.
    Ha soprattutto tentato di assumere la leadership sul tema della transizione energetica, che l’invecchiamento dei reattori nucleari rendeva comunque necessaria, in Francia. Ha adottato però obiettivi non abbastanza ambiziosi per gli ecologisti - il ministro Nicolas Hulot, uno degli uomini politici più popolari nel Paese ha abbandonato l’incarico, mentre i Verdi potrebbero ottenere un risultato relativamente importante alle prossime europee - e troppo costosi per gli automobilisti: in media un francese impiega tre quarti d’ora, un’ora per raggiungere il posto di lavoro e la taxe carbone, annunciata durante una fase di rialzo dei prezzi energetici, non è piaciuta per niente.

    Consenso in calo
    Il Grand débat, con cui il presidente ha tentato di coinvolgere - riuscendoci, in fondo, visti i numeri della partecipazione - l’intero Paese ha fatto allora emergere un forte sentimento di «abbandono», che non sembra sia stato scalfito dalle riforme che Macron ha annunciato il 25 aprile con l’obiettivo di ricostruire il patto sociale con i francesi. I sondaggi - sul consenso personale ed elettorale - hanno mostrato che il suo tentativo di mantenere la rotta del suo programma politico cercando di far aumentare ulteriormente il potere d’acquisto, non è piaciuto; e poco ha influito il fatto che i Gilets Jaunes ormai perdono consensi e la loro protesta si sgonfia. Qualcosa di più profondo agita la Francia, e risalire la china, adesso, sarà davvero difficile.

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