Donald Trump non ha premuto il bottone rosso. Il conto alla rovescia era cominciato. Ma dieci minuti prima dell'attacco contro tre basi radar e missilistiche dell'Iran, in risposta all'abbattimento del drone della marina americana, il presidente ha deciso di interrompere la procedura, quando gli aerei dovevano ancora levarsi in volo e ha riportato le portaerei e i sommergibili allo stato di pre-allarme. Niente attacco. Determinante è stata la risposta di un generale. Lo ha raccontato lui stesso su Twitter. Trump ha chiesto quante vittime ci sarebbero state. «150 persone, signore», è stata la risposta. A quel punto il di solito istintivo presidente americano ha deciso di fermare tutto.
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«Sarebbe stata una risposta sproporzionata all'abbattimento di un drone senza pilota», ha spiegato nel tweet. «Io non ho fretta.
Noi siamo pronti. L'Iran non avrà mai le armi nucleari, non contro gli Stati Uniti e non contro il mondo».
Il governo iraniano, secondo Washington, sarebbe stato informato preventivamente dell'attacco attraverso l'Oman. Teheran ha
smentito di esser stata avvertita e ha confermato di essere pronta a rispondere a ogni azione militare americana.
Né gli Usa né l’Irano vogliono (davvero) la guerra
La verità è che né gli Stati Uniti né l'Iran vogliono la guerra. Il Medio Oriente è una polveriera. Con Trump si sta giocando
una rischiosissima partita a poker. La tensione è ai massimi livelli da 40 anni in un intreccio complicatissimo di alleanze:
gli Stati Uniti che sostengono Israele come mai prima, alleati con Arabia Saudita e Emirati. L'Iran che sta con Russia, Turchia,
Siria, gli Hezbollah libanesi, lo Yemen – dove secondo gli americani sono attivi militanti di al-Qaeda - e la parte sciita
dell'Iraq. Dopo l'incidente delle due petroliere, Trump aveva già mandato un forte avvertimento: in caso di altri attacchi
agli Stati Uniti o ai suoi alleati l'Iran avrebbe “subito gravi conseguenze, come mai nessuno nella storia ha sofferto”. Il
missile iraniano che ha abbattuto l'aereo spia americano sta lì a dire che l'Iran non ha preso seriamente in considerazione
il messaggio presidenziale. Il Pentagono sostiene che il drone sia stato abbattuto nello spazio aereo internazionale, a 21
miglia marine dalla costa. Secondo Teheran l'aereo era in territorio iraniano. Si tratta, in ogni caso, della terza aggressione
contro le forze aeree americane in due settimane. Il 6 giugno nello Yemen i ribelli Houthi, sostenuti dall'Iran, hanno abbattuto
un drone Usa. Il 13 giugno le Guardie della rivoluzione hanno sparato un missile terra-aria contro un altro drone americano
che volava nel Golfo dell'Oman, senza successo.
La prudenza dei consiglieri del Presidente
Il Pentagono sostiene che ci siano gli iraniani, o miliziani a loro legati, dietro ai recenti attacchi agli impianti petroliferi
di ExxonMobil nel Sud dell'Iraq, alle basi militari americane sempre in Iraq, contro l'Arabia Saudita e contro le due petroliere
nello Stretto di Hormuz. Un punto nel quale transita circa un terzo del greggio mondiale, tutta la produzione medio orientale.
Snodo strategico che ha conosciuto già un conflitto tra Usa e Iran quando Ronald Reagan, nel 1987-1988, lanciò una serie di
raid aerei contro obiettivi iraniani in risposta agli attacchi alle petroliere. La “Tanker war” provocò perdite pesantissime
su entrambi i fronti. Alla Casa Bianca i consiglieri più avveduti, i militari che muovono la macchina della Difesa della
prima potenza mondiale, al di là dei due falchi Mike Pompeo e John Bolton, non lo hanno dimenticato. Così come non hanno dimenticato
nemmeno la sequela di attentati in Libano cominciati nel 1983 contro obiettivi americani lanciati dai miliziani di Hezbollah
legati a doppia mandata con Teheran. Hanno consigliato prudenza a Trump anche i leader del Congresso, democratici e repubblicani,
convocati d'urgenza alla Casa Bianca. Il timore è che un attacco militare possa spingere gli americani verso una guerra che
a Washington nessuno vuole.
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