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Questo articolo è stato pubblicato il 25 luglio 2011 alle ore 08:24.
La solita storia. Le vicende della regolamentazione del Patto di stabilità interno in Italia, e la tragicommedia dei correttivi all'ultimo minuto, fa immedesimare noi tutti nel povero Jim Carrey, l'indimenticabile protagonista di «The Truman Show»: guardiamo dalla nostra finestra di lettori del Sole 24 Ore e ci accorgiamo che le scene, instancabilmente, si ripetono sempre uguali, di anno in anno.
Viene da domandarsi se, a differenza del film ora ricordato, qui ci sia una vera e buona regia. E dire che noi non ambiamo al "Golden Globe" ma, più modestamente, aspiriamo solo ad una assennata applicazione della così detta "Golden Rule", cioè ad un sistema di regole stringenti ma non penalizzanti per gli enti che già assicurano un ragionevole contributo agli obiettivi di bilancio del Paese perché presentano un saldo tra entrate e spese correnti positivo.
Certo, tutti noi sappiamo che il peso del debito pubblico è ormai insostenibile e che devono tirare la cinghia non solo i cittadini ma tutte le amministrazioni pubbliche, enti locali compresi.
Però, anche in ciò occorre giustizia e ragionevolezza. Lo spirito di equità dovrebbe portare a non domandare sacrifici ai Comuni con i conti in regola, e il buon senso richiede che gli enti locali siano messi in condizione di operare in una situazione di certezza, evitando ogni anno la pantomima dei "correttivi si, correttivi forse", che arrivano sempre troppo tardi e impediscono agli enti di programmare il loro operato con un minimo di razionalità. Ed ancora, perché non intervenire con decisione su quei metodi di calcolo che producono evidenti storture, e che penalizzano oggi l'uno oggi l'altro (o sempre l'uno e mai l'altro), rendendo poco credibile quel Patto tra Istituzioni oggi quanto mai necessario?
Si preferisce invece ripetere ogni anno i medesimi errori di impostazione, piuttosto che affrontare la questione con il necessario approfondimento e nei tempi che ciò richiede. Questo clima di confusione contribuisce a rafforzare una sub-cultura del sotterfugio che produce costi aggiuntivi e vanifica ogni reale beneficio di finanza pubblica.
È davvero necessario costringere gli enti che hanno soldi in cassa a non pagare i propri fornitori, arrivando perfino produrre norme che incoraggiano il ricorso ad istituti costosi quali l'accollo del debito? E si sono davvero valutati gli effetti della "stretta" sul tetto di spesa sul personale al 40% delle spese correnti?
Basta guardarsi intorno per capire che molti enti, non potendo assumere, stanno optando l'esternalizzazione dei servizi, con il risultato di aumentarne il costo. E che dire di quegli enti che si trovano in scadenza i contratti a tempo determinato di dirigenti chiave ma non li possono riconfermare? Paradigmatico è quanto accade con la norma del Dl 98/2011, condivisibile ma priva di indicazioni operative, che estende i limiti di spesa del personale alle società partecipate: siamo a fine luglio, dispiega i suoi effetti già sul 2011 ma nessuno si prende la briga di spiegarne la corretta applicazione.
Difficile che in una situazione del genere gli enti locali possano funzionare al meglio e che non cerchino delle scappatoie, a fronte di una situazione di incertezza che rischia di penalizzare soprattutto chi ha i bilanci in ordine. E tutto ciò in un quadro in cui la stessa manovra ha deciso di rafforzare le sanzioni per chi escogita forme di elusione per il Patto.
Oggi tutti sono consapevoli delle difficoltà finanziarie del Paese e perfettamente coscienti della necessità di ridurre la spesa pubblica. Ma proprio per questo è necessario ripensare le regole ed arrivare ad un sistema che sia di semplice applicazione, stabile e condiviso.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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