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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2011 alle ore 16:04.

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Il contributo di solidarietà non piace nemmeno a chi lo ha approvato. Per il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi è una «misura opinabile e per certi versi contraddittoria», peggio ancora hanno detto altri big del Pdl, da Guido Crosetto a Roberto Formigoni. Tiepidissimo anche il sostegno arrivato dal premier Silvio Berlusconi, secondo cui il meccanismo che «fa grondare di sangue il cuore» in consiglio dei ministri era biennale e perché sia diventato triennale «non si sa».

Certo, le una tantum (o le tria tantum, come in questo caso) non sono mai piacevoli da imporre, soprattutto per una coalizione che negli anni ha fatto del Fisco un punto nodale del confronto politico. Ma non è solo una questione di stile.

I difetti del prelievo straordinario sono tanti, alcuni dei quali evidenti. In quanto «straordinario» è un meccanismo tampone, mentre i numeri del debito pubblico e il passaggio di fase storico nella finanza degli Stati chiederebbero di concentrare sforzi e sacrifici su contromisure strutturali. In questo modo si rinnova l'impressione, anch'essa sgradevole, che quando si ha il fiato corto si scartano le strategie di lungo periodo, dall'Iva alle pensioni, e si corre a cercare risorse dove si è certi di trovarle, cioè presso i contribuenti onesti. Con i livelli di evasione fiscale che ancora caratterizzano il Paese, nemmeno questa è una questione di stile.

Anche a prescindere dall'evasione, ci sarebbe la Costituzione, dove (articolo 53) si stabilisce che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva». Per quale ragione, allora, il reddito da lavoro, dipendente o meno, oppure il canone di locazione percepito da un contribuente che non ha scelto la cedolare, dovrebbero indicare una capacità contributiva maggiore rispetto alla stessa cifra se sottoposta alla tassa piatta, che esce dal reddito complessivo e quindi anche dal contributo di solidarietà?

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