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Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2011 alle ore 14:49.
Tra le proposte di questi giorni volte a finalizzare i contenuti della manovra di ferragosto si torna a parlare dell'Iva maggiorata per i beni "di lusso", che il nostro Paese ha applicato per una ventina di anni, sino all'adozione delle regole di libera circolazione dei beni in ambito comunitario. La norma ora vigente è contenuta nell'articolo 97 del Testo unico comunitario, cioè la direttiva 2006/112/CE: l'aliquota ordinaria è una sola e si possono applicare una o due aliquote ridotte, a beni e servizi indicati in un allegato alla direttiva.
L'unicità dell'Iva ordinaria è motivata come strumento correlato alla soppressione dei controlli alle frontiere, nell'ambito di una armonizzazione. L'unicità dell'aliquota ordinaria non inferiore al 15% è stata confermata dalla direttiva 2010/88/Ue, che ha fissato la misura sino al 31 dicembre 2015, con riserva di provvedere diversamente nell'ambito della riforma del sistema Iva.
L'Iva, nonostante il suo nome, non è un'imposta sul valore aggiunto (unico tributo con queste caratteristiche è l'Irap), ma un'imposta sui consumi a pagamenti frazionati, che si calcola nel ciclo produttivo e distributivo, e si concretizza come gettito per l'erario solo se viene correttamente applicata dai soggetti economici che sono in rapporto diretto con i consumatori finali.
Per restare all'ambito Iva sui beni "opulenti", qualche misura può essere adottata in tema di limitazioni alla detrazione - come è già avvenuto per le auto, previa autorizzazione Ue - e con regole più stringenti per la fatturazione dell'utilizzo privato dei beni aziendali; i cosiddetti "beni di lusso", infatti, nella maggior parte dei casi sono intestati a società. Esiste già una norma in merito, mai cambiata dal 1972 e poco applicata perché a dir poco criptica, secondo cui la messa a disposizione di un bene ai soci (o a terzi su indicazione dei soci) è considerata prestazione di servizi tassabile, da fatturare anche in assenza di corrispettivo.
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