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Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2011 alle ore 09:59.

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Più occupazione e di migliore qualità. Incrementi salariali correlati a una maggiore competitività e produttività del lavoro. Emersione del lavoro sommerso e irregolare che, secondo alcune rilevazioni empiriche, riguarderebbe circa un quarto della nostra economia. Gestione più flessibile e proattiva delle numerose crisi aziendali e occupazionali. Sostegno all'avvio di nuove attività produttive e incentivazione degli investimenti dall'estero oggi frenati, come indica il Global Competitiveness Report del World Economic Forum, dalla arretratezza del quadro legale e del nostro sistema di relazioni industriali.

Sono questi i principali obiettivi delle misure sul lavoro contenute nella manovra del Governo e incentrate sul sostegno, anche in termini di detassazione, alla contrattazione collettiva aziendale o anche territoriale.

La strada prescelta è coerente con quanto avviene nel resto d'Europa. Paesi come Germania, Austria, Francia, Spagna e Olanda riconoscono e praticano da tempo intese aziendali di sganciamento dagli standard fissati dalla legge o dalla contrattazione collettiva a livello nazionale. Regno Unito e Polonia sono un caso a sé. Ma ciò solo in ragione del fatto che, in questi Paesi, la contrattazione collettiva già opera in via esclusiva a livello aziendale come avviene del resto negli Stati Uniti e in Giappone.

Anche la scelta della decretazione di urgenza non è certo una rarità in questa stagione di crisi. Basti pensare, da ultimo, al deciso intervento del Governo Zapatero a sostegno di accordi aziendali in deroga alla contrattazione di livello superiore con un decreto legge che integra un quadro legale che già ammette deroghe (anche a livello di contratto individuale) alle norme di legge.

Nel confronto internazionale e comparato la manovra appare semmai meno aggressiva di alcune delle misure approvate o presenti in altri Paesi dove – è bene ricordarlo – non esistono disposizioni di legge paragonabili al nostro articolo 18. Ma ciò solo per la scelta di rispettare in pieno la nostra tradizione di relazioni industriali.

Il Governo non introduce, infatti, alcuna modifica al quadro legale sulla gestione dei rapporti di lavoro in azienda. Sulla scorta della idea di «Statuto dei lavori» elaborata da Marco Biagi, si limita a offrire alle parti sociali la possibilità di intese modificative a livello aziendale (o territoriale, per le aziende sprovviste di contrattazione collettiva) di alcune delle norme nevralgiche per una ottimale gestione del personale: assunzioni e tipologie flessibili di lavoro, classificazione e inquadramento dei lavoratori, esternalizzazioni e introduzione di nuove tecnologie, conseguenze del licenziamento illegittimo nel senso della possibilità di riconoscere un risarcimento economico in alternativa alla reintegrazione del posto di lavoro.

Le intese modificative non sono, peraltro, affidate a sindacati di comodo o fittizi: il decreto indica nei sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale e nelle loro rappresentanze aziendali (quelle espressamente indicate ai punti 4 e 5 del recente accordo interconfederale del 28 giugno) i soli soggetti abilitati a concordare modifiche con validità erga omnes su materie così delicate.

Questo al fine di favorire, per esempio, uno scambio tra una maggiore produttività del lavoro e una maggiore remunerazione o anche tra percorsi di stabilizzazione dei lavoratori precari a fronte di una maggiore certezza o duttilità del quadro normativo in caso di licenziamenti del personale stabilizzato. Il tutto, come si insegna agli studenti al primo anno di corso nelle facoltà giuridiche, nel rispetto della gerarchia delle fonti del diritto e precisamente delle norme di rango costituzionale e dei vincoli internazionali (in primis delle normative comunitarie).

Le parti sociali hanno chiesto al Governo di non interferire nell'ambito della regolazione dei rapporti di lavoro. La risposta è stata conforme alla richiesta, la manovra si limita a specificare l'ambito di agibilità per la contrattazione collettiva di livello aziendale o territoriale.

Saranno ora le parti sociali a decidere liberamente e responsabilmente – forti di questi nuovi spazi di negoziazione che prima non c'erano – se attestarsi sul quadro legale vigente o se invece avviare, come avvenuto nel decennio passato in tutta Europa, quei necessari cambiamenti e adattamenti utili per dotarci di un sistema di relazioni industriali e di lavoro al passo con i tempi.

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