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Questo articolo è stato pubblicato il 13 settembre 2011 alle ore 07:51.

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La stretta sulle società di comodo trascura i beni intestati a strutture estere. Le società non residenti che detengono case, auto o imbarcazioni date in uso a contribuenti italiani rimangono fuori sia dalla tassazione al 38% sia dal nuovo presupposto previsto per chi paga canoni inferiori al valore di mercato.

L'intervento della manovra di Ferragosto sulle strutture utilizzate come schermo di beni dei soci passa attraverso due disposizioni: la stretta sulle società - con l'aumento al 38% dell'Ires e la presunzione che sia 'di comodo' chi evidenzia perdite per tre annualità ‐ e la tassazione dei soci, che dovranno dichiarare la differenza tra quanto pagato per l'uso dei beni e il relativo valore di mercato.

Le nuove regole appaiono adeguate per colpire l'intestazione di comodo a società italiane, mentre più di un dubbio permane sulla loro efficacia in presenza di strutture estere, che spesso vengono adottate come schermo per i patrimoni più ingenti. Un primo caso è costituito da società domiciliate in paradisi fiscali, che fanno scattare la cosiddetta norma Cfc. I soci italiani qualificati devono dichiarare il reddito della partecipata determinato tenendo conto del valore minimo previsto per le società di comodo italiane (risoluzione 331/E del 2007).

L'imposta da applicare al reddito della Cfc (comunque determinato) si calcola, oggi come in passato, secondo l'aliquota media del contribuente con un minimo del 27 per cento. In questo modo, non essendovi norme specifiche nel Dl 138/2011, il socio della società estera 'di comodo' finisce per sfuggire alla maggiorazione dell'Ires del 10,5% prevista per le società italiane.

Una seconda ipotesi da valutare riguarda l'intestazione dei beni utilizzati dai soci, a società estere ubicate in paesi white list (Olanda, Lussemburgo eccetera). Si tratta di società che non rientrano nella tassazione come Cfc neanche dopo le modifiche apportate dal Dl 78/2009, norma che considera solo le strutture (con tassazione inferiore alla metà di quella italiana) che traggono il reddito da beni diversi da quelli solitamente impiegati dalle persone fisiche (partecipazioni, marchi, brevetti eccetera).
Le società 'di comodo' extra black list dovrebbero dunque sfuggire in toto alla stretta della manovra, salvo ipotizzare (aspetto assai dubbio, su cui servirebbe un chiarimento da parte delle Entrate) che la concessione in uso ai soci ricada nella fattispecie di prestazioni di servizi infragruppo, pure rilevante per l'applicazione delle regole Cfc. Se anche così fosse, peraltro, il reddito imputato al socio italiano rimarrebbe tassato come in passato con le aliquote ordinarie evitando l'Ires del 38% a cui andranno invece soggette le strutture 'di comodo' italiane (Srl e Spa).
La norma si riferisce ai beni concessi in godimento per importi inferiori al valore di mercato, da parte di 'imprese', concetto nel quale non rientrano le società estere prive di stabile organizzazione in Italia. Salvo interpretazioni estensive da parte dell'agenzia delle Entrate, il socio italiano che impiega case o altri beni intestati all'estero parrebbe dunque sfuggire alla nuova tassazione, non essendo neppure tenuto ad effettuare le previste comunicazioni al fisco.

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