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Questo articolo è stato pubblicato il 17 dicembre 2011 alle ore 10:07.

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ROMA - Tasse sul lavoro, pensioni, liberalizzazioni, costi della politica: sono alcuni dei temi su cui Il Sole 24 Ore aveva impostato il suo Manifesto per la crescita presentato lo scorso 16 luglio, nel pieno dei drammatici giorni in cui i ripetuti interventi di finanza pubblica dell'allora Governo Berlusconi non riuscivano a rimettere in carreggiata l'Italia. Più tardi sarebbero giunti la lettera della Bce co-firmata da Jean-Claude Trichet e Mario Draghi con le condizioni della Bce, l'avvitamento dell'esecutivo e l'arrivo dei "tecnici" a Palazzo Chigi.

La nuova manovra dei professori nella sua versione originaria presentava molti punti di convergenza con le proposte di questo giornale (si veda Il Sole 24 Ore del 6 dicembre): un giudizio che va un po' attenuato guardando al testo cui ieri la Camera ha dato il via libera. Certo, i capitoli sono rimasti gli stessi ma il passaggio in Parlamento ha ridimensionato l'impatto su alcuni importanti settori, rinviando l'intervento a future misure fuori dalla "manovra di Natale". E riducendo così la capacità di dare slancio all'economia.

Le liberalizzazioni, per esempio. Il Manifesto propone un piano su «licenze e orari per tutte le attività di commercio, servizi, farmacie, para-farmacie». Nel decreto licenziato dal Consiglio dei ministri del 5 dicembre le barriere in questi settori venivano effettivamente abbattute ma sono state ricostruite da una pervicace azione lobbystica scattata nei corridoi del Parlamento. Risultato: resta solo la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali senza limitazioni, mentre sui farmaci (di fascia C) si è registrata una frenata e, quanto ai taxi, un nulla di fatto. C'è poi il capitolo professioni: per il nostro giornale vanno liberalizzate, l'Esecutivo per il momento non ne prevede l'abolizione.

Osservazione simile va fatta per i costi della politica. Il Sole 24 Ore ribadiva a luglio la necessità di un taglio drastico con un elenco dettagliato a partire dall'«adeguamento immediato delle indennità dei parlamentari e del numero degli eletti alla media europea». Voce presente nel decreto salva-Italia, in cui si prevedeva un intervento di urgenza se i parlamentari non avessero provveduto ad attuare entro l'anno una misura già prevista dall'ultima manovra di Berlusconi. La sollevazione di senatori e deputati ha comportato la cancellazione della norma (considerata incostituzionale). Resta l'impegno dei presidenti Gianfranco Fini e Renato Schifani. Quanto alla cancellazione delle province il pugno duro iniziale si è trasformato in una carezza. Le province saranno private delle giunte e avranno solo dieci consiglieri (scelti dai Comuni) ma – grazie a una correzione in corsa – gli organismi in carica continueranno a esistere fino alla loro naturale scadenza. Le altre "richieste" del Manifesto non sono mai comparse nel menù di Palazzo Chigi: accorpamento dei Comuni più piccoli, dimezzamento delle rappresentanze dei consigli regionali, comunali e circoscrizionali e riduzione dei componenti dei cda di tutte le società controllate dagli enti locali.

Più stabili gli interventi su altri settori dove la convergenza con il Manifesto del 16 luglio è confermata. Come la previdenza: Il Sole 24 Ore si era schierato per un innalzamento dell'età pensionabile obbligatorio per tutti a 70 anni entro il 2020. Un modo, veniva spiegato, per assicurare «pensioni più elevate e ridurre gradualmente il carico dei contributi sociali molto elevati». La nuova manovra accelera il processo di allineamento donne-uomini per le pensioni di vecchiaia (nel 2018 a 66 anni, nel 2022 a 67 anni) e, per la prima volta, compare la possibilità a partire dal 2018 di rimanere a lavoro fino a 70 anni. Si tratta di un'uscita "garantita" e non ancora obbligatoria come indicato da questo giornale ma che permetterà comunque, a chi volesse, di portare a casa assegni più consistenti.

Il discorso si può estendere alle tasse sul lavoro. Al primo punto del Manifesto si leggeva: «Riduzione della tassazione sul lavoro che porti a un alleggerimento dell'Irap attraverso una rimodulazione dell'Iva». Entrambe le misure sono presenti nel testo licenziato ieri da Montecitorio, non però in questa correlazione. Sono incluse infatti sia la deducibilità dell'Irap sul costo del lavoro ai fini Ires e Irpef sia gli sconti per lavoratrici donne e giovani. Dal 1° ottobre 2012 aumenteranno le aliquote Iva (dal 21 al 23% e dal 10 al 12%): l'intervento, però, servirà come garanzia dei risparmi previsti nella manovra Berlusconi-Tremonti con il taglio delle agevolazioni fiscali. Ragionamento a parte per gli Eurobond. Dell'adozione di titoli di debito europeo, sollecitata dal Sole 24 Ore come mezzo per «sostenere i Paesi in difficoltà», non si parla nella manovra. La posizione favorevole di Mario Monti è però nota: «C'è stata una discussione nel Consiglio europeo» ha riferito il premier ed è stato «deciso che nel rapporto che sarà presentato entro il 31 marzo sarà discusso e presentato il tema». Restano vuote quattro delle nove caselle indicate dal Manifesto: nessun segnale nella manovra sul fronte delle privatizzazioni (il giornale suggeriva di partire dalla Rai), né sull'aumento delle rette universitarie, della trasparenza della Pa e di un nuovo Patto di stabilità interno.

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