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Tassa sul web in salita, tre decreti per «chiudere»

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legge di bilancio

Tassa sul web in salita, tre decreti per «chiudere»

La nuova web tax approvata domenica dalla commissione Bilancio del Senato durante l’esame della manovra è una cornice, seppur ben delineata, ma ancora tutta da riempire. Per renderla operativa vanno emanati un decreto ministeriale e due provvedimenti del direttore dell’agenzia delle Entrate, stando almeno al testo approvato in prima lettura a Palazzo Madama. Ma l’emendamento a firma Massimo Mucchetti (Pd) approvato domenica soprattutto dovrà fare ancora i conti con il secondo esame della Camera al Ddl di Bilancio. E il presidente della commissione Bilancio di Montecitorio, Francesco Boccia (Pd), pur sottolineando la serietà del dibattito aperto dai colleghi del Senato, ha già detto ieri a chiare lettere che la web tax licenziata da Palazzo Madama sarà modificata. Per Boccia va rivista l’entrata in vigore prevista ora al 1° gennaio 2019: il principio di fondo resta quello di «far pagare le imposte alle multinazionali del web che oggi eludono il fisco italiano». Da rivedere il ruolo dei sostituti d’imposta affidato alle banche, ma soprattutto va rimarcata la necessità di un prelievo, come quello del 6% previsto dall’emendamento “Mucchetti” che, spiega Boccia, «non sia applicato alle imprese italiane», e oltre ai servizi, «dovrà riguardare anche il commercio elettronico, che oggi rappresenta una delle principali voragini fiscali».

Partenza tutta in salita, dunque, per la web tax targata Italia. Sulla base del testo approvato, lo snodo centrale della nuova imposta digitale è affidato al decreto del ministero dell’Economia che entro il prossimo 30 aprile (scadenza che cade in piena bagarre elettorale) dovrà definire la base imponibile cui applicare il 6% di prelievo. Al momento sono espressamente escluse le imprese in regime forfettario, quelle agricole e i soggetti che hanno aderito al regime dei minimi. Un passaggio importante anche per evitare il rischio concreto che il prelievo del 6% si trasformi facilmente in un’accisa e come tale (basti pensare alla benzina) “scaricabile” facilmente sul consumatore finale.

Il secondo passaggio per far camminare realmente la web tax è il provvedimento dell’agenzia delle Entrate che dovrà definire le modalità tecniche per le comunicazioni delle transazioni online, il cosiddetto spesometro. A questo strumento viene affidata l’attività di monitoraggio ed eventualmente la possibilità di far emergere i soggetti non residenti, ma che in realtà – per numero di operazioni effettuate in un semestre (superiore alle 1.500 unità) e per relativo controvalore superiore a 1,5 milioni di euro – operano di fatto in Italia per il tramite di una stabile organizzazione. Il ricordo del caos sul debutto del nuovo spesometro per le fatture Iva del settembre scorso è ancora fresco per intermediari, imprese e per lo stesso Fisco. L’amministrazione finanziaria ha però assicurato che i problemi tecnici sono stati tutti risolti e comunque, stando sempre al testo di Palazzo Madama, il provvedimento delle Entrate dovrà arrivare nei 60 giorni successivi al Dm del Mef di aprile.

C’è poi il provvedimento del direttore delle Entrate che dovrà fissare termini, modalità e criteri per il versamento, l’applicazione della ritenuta d’imposta sui ricavi dei soggetti non residenti, sugli obblighi dichiarativi e sul credito d’imposta (pari alla web tax pagata) riconosciuto alle imprese che risiedono in Italia. A questo regolamento è demandato il compito particolarmente delicato di definire il quadro entro cui sono chiamate ad operare, ad esempio, le banche come sostituti d’imposta. Queste dovrebbero applicare – stando al testo approvato ma destinato a cambiare secondo il presidente Boccia – il prelievo del 6% a titolo di ritenuta sui corrispettivi dei soggetti non residenti. Le banche sono assolutamente d’accordo sul principio ma preferiscono pronunciarsi solo una volta che saranno definite tutte le regole.

Al di là dunque di un’approvazione all’unanimità di tutte le forze politiche incassata dal Governo e dalla maggioranza a Palazzo Madama, e motivata dalla necessità di riportare a una concorrenza leale chi opera via Internet e chi invece svolge la sua attività al di fuori del mercato digitale (principio messo in discussione proprio ieri dall’antitrust sulla cedolare secca per l’airbnb, si veda il servizio in pagina), la nuova web tax almeno per il momento ha diviso operatori del settore, intermediari finanziari, nonché gli stessi rappresentanti della maggioranza di Governo.

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