L’Italia non parteciperà ai mondiali di Russia ma intanto è già campione d’Europa. Nell’evasione Iva , infatti, nessuno batte il nostro Paese, nonostante il trend sia discendente.
Fatto sta che, secondo il confronto completo effettuato a livello comunitario della Commissione Ue, il Vat gap - ossia la distanza tra l’Iva potenzialmente dovuta e quella che poi entra nelle casse pubbliche - supera di poco i 35 miliardi in Italia. E si tratta del 23,2% dell’Iva mancante in tutti i Paesi dell’Unione che si attesta (l’ultimo anno oggetto di rilevazione è il 2015) a 151,5 miliardi di euro.
Tradotto in altri termini, significa che quasi un euro su quattro di evasione Iva nell’Unione si consuma (o almeno proviene) proprio all’interno dei nostri confini.
Un primato che non merita caroselli. Anzi, così come ha fatto la Spagna non solo nel calcio è uno di quei record da abbandonare il prima possibile. A Madrid, infatti, nel quiennio 2011-2015 si è lavorato molto per ridurre l’evasione Iva. Se si considera la misura relativa del gettito mancante, la Spagna fa registrare una differenza di quasi 10 punti percentuali (scendendo dal 13,4% al 3,5%). E, come sottolinea la stessa Commissione europea, c’è stata su questa decrescita un sensibile miglioramento della compliance su dichiarazione e versamenti dell’imposta sul valore aggiunto. Proprio lungo questa direttrice si sono inseriti i Governi italiani. Non a caso, il primato europeo resta per ora indiscusso ma il Vat gap complessivo è sceso dai 41 miliardi del 2011 a 35 miliardi del 2015 sempre secondo le stime di Bruxelles (in quanto si tratta comunque di un indicatore oggetto di elaborazione).
La ricerca della compliance è stata affiancata da strumenti efficaci per l’Erario ma più onerosi per le imprese. Il principale è lo split payment, ossia il meccanismo per cui è direttamente la Pa a versare l'Iva nelle operazioni con i fornitori privati. Uno strumento autorizzato fino al 2020 dalla Commissione europea e che è stato in grado di garantire all’Erario maggiore Iva incassata per 7,3 nel 2015 (primo anno di applicazione), 10,6 miliardi nel 2016 e 11,1 miliardi nel 2017. Attenzione, però, perché il sistema è stato progressivamente esteso alle partecipate e alle quotate in Borsa.
Ampliamenti che hanno complicato il meccanismo, obbligando imprese e professionisti a controllare puntualmente gli elenchi pubblici delle potenziali controparti. Il problema maggiore dello split payment - denunciato a più riprese da tutte le organizzazioni di categoria del mondo imprenditoriale - è il drenaggio di liquidità che subiscono gli operatori. Agli incassi miliardari dello Stato si contrappongono i circa 3 miliardi annui (stimati nel rapporto al Parlamento sulla lotta all’evasione dello scorso autunno) che le partite Iva portano in compensazione o chiedono a rimborso proprio per effetto della scissione dei pagamenti. Problemi che sono stati messi sotto la lente del nuovo Governo che, con il vicepremier Luigi Di Maio, si è impegnato a risolverli: un’ipotesi praticabile (e fortemente richiesta dalle categorie) è il superamento dello split payment con l’arrivo della fattura elettronica.
L’e-fattura tra privati, con debutto generalizzato dal 1° gennaio 2019, è ritenuta da tutti un’arma efficace anche se con dei limiti evidenti: l’omessa fatturazione - soprattutto se riguarda l’intero ciclo - non sarebbe comunque tracciata e resta a valle il problema dell’Iva sul consumo finale. Gilberto Gelosa, delegato al fisco del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili (Cndcec), sottolinea che «il problema dell’Iva è quello del sommerso, quindi è un problema al consumo e poi c’è una questione di frodi nazionali e internazionali per le quali i sistemi di tracciabilità aiutano e aiuteranno. Questo però è un processo che va fatto su tutti i contorni: provvedimenti distaccati l’uno dall’altro non conducono a nessun risultato. L’Unione europea ha in cantiere la riforma con la tassazione nel Paese di destinazione fatta dal fornitore e per un periodo transitorio ha l’intenzione di individuare soggetti passivi qualificati che possono applicare il reverse charge. Se tutto questo diventa operativo, si possono perseguire gli obiettivi antievasione. A quel punto non bisognerà più chiedere dati inutili».
Per Gaetano Ragucci, presidente dell’Anti (Associazione nazionale tributaristi italiani), vanno valutate positivamente gli interventi a regime che stabilizzano il quadro normativo: «Alcune misure come l’e-fattura si muovono nella direzione corretta perché possono portare nel tempo a una semplificazione e a una minore pervasività dei controlli successivi. Mentre i regimi speciali o derogatori, le misure tampone, le inversioni vanno superati perché trasferiscono sull’economia privata tutti i costi dei controlli e sono forieri di complicazioni».
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