Il decreto legge 4 ottobre 2018, n. 113, uno dei molti interventi normativi degli ultimi anni battezzati con l’epiteto “sicurezza”,
contiene previsioni in materie tra loro assai diverse. Le norme più innovative riguardano certamente la materia dell’immigrazione.
Il decreto, infatti, rappresenta un passo significativo verso un nuovo “diritto degli stranieri”, diverso nell’impostazione culturale rispetto all’esperienza italiana dell’ultimo trentennio.
Il Governo pare infatti trattare il fenomeno migratorio da un’ottica quasi esclusivamente securitaria, disciplinandolo insieme
a mafia e terrorismo e, con le parole di Giovanni Maria Flick, applicando ai migranti «un’etichetta di sospetto e di qualificazione
negativa a priori».
Tale cultura può ben sembrare lontana da alcuni grandi valori costituzionali, quali l’eguaglianza, la dignità della persona
e la garanzia universale dei diritti fondamentali, tra cui il diritto di asilo. Tuttavia, ciò solo non consente di giungere a liquidatorie previsioni di incostituzionalità tout court dei punti qualificanti
del testo, come qualcuno potrebbe essere tentato di fare.
Infatti, la nostra è una Costituzione che lascia al legislatore, specie in questa materia, un’ampia discrezionalità che non
deve trascolorare però in arbitrio ma rappresentare un razionale bilanciamento di interessi sulla base di scelte politiche.
Dunque, più che procedere con proclamazioni di principio, guidati da pregiudizi negativi, appare necessario quel lavoro certosino del giurista, che esamina le singole norme e prova a distinguere tra quelle tecnicamente o politicamente inopportune e quelle illegittime,
perché paiono davvero in urto con la Carta fondamentale o gli obblighi internazionali ed europei.
E siccome gli ambiti sono molti, tale lavoro non si può esaurire in questo articolo, ma sarà necessariamente a puntate.
Nei prossimi giorni si cercherà di esaminare alcuni punti essenziali: le novità in materia di diritto di asilo e di protezione umanitaria, la riforma dei trattenimenti e del sistema di accoglienza, le restrizioni in materia di cittadinanza italiana, ma anche le misure antiterrorismo e le modifiche alle misure di prevenzione e alla gestione dei beni confiscati.
Qui partiamo da una domanda preliminare: è legittimo in questo caso l’uso del decreto legge? Detto altrimenti, sono davvero presenti gli straordinari casi di necessità e urgenza che la Costituzione richiede? Coltiviamo
più di un dubbio in proposito. La giustificazione per il decreto legge, proprio nelle parti relative agli stranieri, sembra
basata su emergenze più percepite che concrete. I dati mostrano un netto arretramento degli ingressi illeciti di stranieri
in Italia, né si registra alcun aumento di reati da parte di questi ultimi. Lo stesso allarme terrorismo, che l’esecutivo
pone a giustificazione della norma sulla revoca della cittadinanza, sembra non riflettere la realtà: in fondo, il nostro Paese
non è teatro di attentati terroristici da un quarto di secolo.
Né ci pare sufficiente affermare che “così fan tutti”, ovvero che la nostra storia antica e recente è ricca di Governi che
hanno emanato decreti carenti dei requisiti di necessità e urgenza. Qui, per di più, siamo di fronte a un provvedimento che
interviene in modo radicale sul sistema di protezione internazionale e su diritti riconosciuti dalla Carta, come quello d’asilo.
Anche per questo siamo convinti che il processo legislativo ordinario avrebbe garantito un più meditato esame di questioni così rilevanti e delicate.
I dubbi di costituzionalità non si limitano allo strumento, ma investono anche il contenuto del decreto. Di uno di essi si
può dar conto già ora, proprio perché in questa norma si saldano l’opzione culturale della nuova maggioranza e il rischio
di incostituzionalità della scelta concreta.
Ci si riferisce alla previsione della revoca della cittadinanza a chi non è italiano per nascita ed è stato definitivamente condannato per delitti commessi con finalità
di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale.
Si tratta di casi che si verificheranno raramente. Tuttavia, l’effetto della disposizione sul sistema è dirompente: si frantuma
il concetto di cittadinanza, introducendone una “di serie b” rispetto a quella che appartiene a chi è italiano dalla nascita.
Banalmente, per lo stesso reato, sono previste conseguenze diverse, sicché i cittadini non sono più uguali davanti alla legge.
Dal punto di vista giuridico si intravede la violazione del principio d’eguaglianza e del divieto di privare una persona della cittadinanza per motivi politici, previsto dall’articolo 22 della Costituzione,
anche perché molti dei reati indicati sono proprio delitti commessi per motivi “politici”. Inoltre, la disciplina potrebbe
generare apolidia, uno status eccezionale per una persona, in contrasto con un’antica convenzione internazionale che appunto
vieta agli Stati di creare nuovi apolidi.
Sul piano culturale, poi, si tratta della fuoriuscita dall’idea unitaria di cittadinanza, nata come eguale garanzia dei diritti per tutti coloro che la possiedono nei confronti dello Stato, una delle più caratterizzanti
la civiltà europea, dalla rivoluzione francese in avanti. E questa rottura del principio in forza del quale non devono esistere
regimi speciali, può portare in futuro a estendere il catalogo dei reati per cui è prevista la revoca.
Inoltre, la disciplina porta con sé il messaggio secondo cui chi non è italiano “di sangue” è di per sé sospetto, impostazione
opposta rispetto alla logica sottostante a proposte di legge quale quella sullo “ius soli” avanzata nella scorsa legislatura,
volta a includere nella comunità nazionale chi aveva assorbito la cultura italiana nel percorso scolastico.
Dopo questi brevi cenni, nelle prossime “puntate” affideremo il testo alle lenti di altri giuristi, necessarie per individuare
ciò che dovrebbe stare fuori dall'ordinamento per come lo conosciamo e ciò che è, come ogni disposizione, più semplicemente
discutibile.
Il giudizio generale sull’articolato, tuttavia, non è positivo, e non resta allora che sperare in un’attenta riflessione da
parte del Parlamento in sede di conversione, soprattutto su quella che appare la matrice della novella, come caldamente invitato
dal Presidente della Repubblica.
Del resto, la Storia tristemente insegna che una restrizione dei diritti degli “altri”, dei “diversi” tende a precedere una restrizione
generalizzata, per tutti.
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