In un decreto legge che annuncia, fra i propri propositi, anche quello di incrementare la “sicurezza”, non poteva mancare
qualche modifica al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice antimafia), il quale, disciplinando i presupposti
e il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione, si conferma ancora una volta terreno fertile – e, verrebbe
ormai da dire, “tappa obbligata” – per interventi emergenziali e aspirazioni securitarie.
Le modifiche in questione, contenute nell’art. 24 del decreto, non sono numerose e riguardano quasi tutte aspetti di carattere
procedimentale. Complessivamente, il loro impatto sulla fisionomia del procedimento di prevenzione è senz’altro contenuto;
esse lambiscono, però, temi di grande attualità e pertanto meritano di essere segnalate.
La novità di maggiore rilievo riguarda i meccanismi di “coordinamento” tra i soggetti cui spetta il compito di dare avvio
al procedimento di prevenzione patrimoniale.
L’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale può essere “proposta” da più soggetti: non solo dal procuratore della
Repubblica e dal procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, ma anche dal questore e dal direttore della Direzione investigativa
antimafia.
Il fatto che il procedimento di prevenzione possa essere avviato sia dall’autorità giudiziaria, sia dall’autorità di pubblica
sicurezza ha, negli anni, fatto avvertire l’esigenza di introdurre un “raccordo informativo” in grado di evitare – specie in materia di criminalità organizzata – pregiudizi per le eventuali indagini condotte dal pubblico
ministero nei confronti di soggetti interessati dalla “proposta”. E infatti, volendo essere sintetici, si può osservare come
le misure di prevenzione patrimoniali (e in particolare la confisca) siano di frequente applicate nei confronti di soggetti
che – indiziati di appartenere a un’associazione di tipo mafioso – sono al contempo indagati in procedimenti penali spesso
complessi e ad ampio raggio. Si comprende, allora, come quel “binario ad alta velocità” rappresentato dal procedimento di
prevenzione (per usare un'efficace espressione coniata dalla dottrina penalistica) possa in concreto interferire con paralleli
– e sovente delicati – procedimenti penali.
A fronte di tale esigenza, al fine di migliorare il coordinamento delle autorità competenti il legislatore del 2017 aveva
introdotto una serie di obblighi informativi a carico del questore e del direttore della Dia nei confronti del procuratore distrettuale (art. 17, co. 3-bis, d.lgs. 159/2011); fra questi, spiccava la necessità di una
previa comunicazione della proposta, almeno dieci giorni prima della presentazione, pena l'inammissibilità della stessa.
Con il provvedimento in esame vengono, si può dire, “smussati” i meccanismi di coordinamento introdotti poco più di un anno fa: diminuiscono gli obblighi informativi a carico dell’autorità di pubblica sicurezza e, soprattutto,
scompare la previsione dell’inammissibilità della proposta presentata in mancanza di una previa comunicazione al procuratore
della Repubblica. E così, l’esigenza di evitare eventuali pregiudizi per le indagini viene in parte sacrificata, in nome degli
«equilibri» di un sistema che vedrebbe l’autorità giudiziaria e l’autorità di pubblica sicurezza «collocati in posizione paritetica»
(così la relazione illustrativa). Briglie allentate, insomma, per le autorità di pubblica sicurezza che intendano proporre
l’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale.
Altra modifica si ha in materia di impugnazioni: a differenza della precedente, però, questa interessa anche le misure di prevenzione personali.
In particolare, con l’introduzione del comma 2 quater all’art. 10 Dlgs 159/2011 si prevede che, in caso di conferma del decreto
impugnato, la parte privata che abbia proposto impugnazione sarà condannata al pagamento delle spese processuali. La disposizione
si pone così in linea con quanto già previsto dall’art. 7, co. 10 quinquies, Dlgs 159/2011 in relazione al procedimento di
primo grado.
Infine, un’ultima, rilevante, modifica al tessuto normativo del “Codice antimafia” determina l’estensione degli “effetti delle misure di prevenzione” (art. 67 Dlgs 159/2011) anche ai soggetti condannati in sede penale per i reati di truffa ai danni dello Stato o di altro
ente pubblico (art. 640, co. II, n. 1 c.p.) e di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis
c.p.).
Da oggi, anche a costoro – nonché ai loro conviventi – saranno applicate tutte quelle limitazioni alla libertà di iniziativa
economica che il Dlgs 159/2011 prevede per i destinatari delle misure di prevenzione personali disposte dall'autorità giudiziaria
e che, in breve, consistono nella preclusione all'ottenimento e nella decadenza di diritto da una serie di licenze, autorizzazioni,
concessioni.
Si profila, così, l’“esportazione” dell'armamentario di preclusioni tipico delle misure di prevenzione anche in settori estranei alla criminalità
organizzata, e anche in presenza di singole condotte delittuose. E ciò potrebbe porre qualche problema di compatibilità con i principi di ragionevolezza e proporzione.
Interventi limitati, dunque, quelli di modifica al “codice antimafia”, ma comunque significativi. La strada intrapresa, ancora
una volta, è quella del potenziamento delle misure di prevenzione. E la direzione seguita sembra sfuggire sia alle sollecitazioni
provenienti dal complesso dibattito dottrinale e giurisprudenziale, sia alle esigenze di ponderazione che, oggi in particolare,
circondano la materia.
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