Conviene uscire dal lavoro qualche anno prima, magari a 62 anni, o è meglio aspettare l’età della pensione di vecchiaia a 67 anni? Il dilemma riguarda una platea di circa 300mila lavoratori italiani nel 2019 che cercano di capire gli effetti per la propria posizione pensionistica delle norme previste dal “decretone”, con il quale il governo, oltre a varare il reddito di cittadinanza, ha introdotto la possibilità di uscire dal mercato del lavoro con quota 100, ossia 62 anni anagrafici e 38 di contribuzione.
Ora che il decreto è fatto si aspetta infatti solo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale per l’entrata in vigore delle nuove misure che - nelle intenzioni del Governo - dovrebbero permettere su tutto il triennio della sperimentazione (2019-2021) a un milione di persone di andare in pensione.
PER SAPERNE DI PIÙ / DOSSIER PENSIONI 2019
Quota cento per i lavoratori privati e per i dipendenti pubblici, opzione donna, precoci, usuranti, Ape volontario e sociale,
isopensione. Otto canali di uscita flessibile dal lavoro a partire dai 58 anni che sommati alle altre vie che permettono
di raggiungere l’assegno - pensione di vecchiaia, anzianità, cumulo dei contributi, «Rita» - portano a 12 le chance di ritiro
dal lavoro nel 2019.
Si apre dunque ora la stagione dei calcoli per tutti quei lavoratori, che all’anagrafe risultano nati tra il 1952 e il 1959. Ma anche per quelli nati tra il 1960 e il 1962, che potrebbero beneficiare dell’assegno straordinario finanziato dalle imprese
con i fondi di solidarietà bilaterali.
Il provvedimento aggiunge più che togliere, mantenendo in vigore (o riportando in auge) alcuni aspetti della legislazione previgente in materia previdenziale - da opzione donna all’Ape social – ma l’introduzione di quota 100 e del sistema delle finestre cambia profondamente lo scenario e offre a chi si trova nell’ultima fase della propria carriera lavorativa uno strumento di flessibilità del proprio pensionamento. Senza contare che per la pensione anticipata secondo le regole della legge Fornero, viene congelato l’adeguamento all’aspettativa di vita. Serviranno 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, con una finestra (mobile) di tre mesi dopo la maturazione dei requisiti.
Ma quota 100 conviene davvero? Uscire dal lavoro cinque anni prima, secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, significa accusare una riduzione permanente della propria rendita previdenziale anche superiore al 30%.
Questi sono dati medi ma è indispensabile ricordare che ogni lavoratore ha un percorso previdenziale differente da quello
di tutti gli altri: attenzione, pertanto, a non farsi condizionare dal passaparola, osservando la posizione di parenti, amici
e vicini di casa.
CALCOLA LA TUA PENSIONE / LE CALCOLATRICI PREVIDENZIALI
Per offrire una bussola ai lettori Il Sole 24 Ore, in collaborazione con la società Epheso, mette a disposizione un nuovo «pensionometro», un tool aggiornato con tutte le novità introdotte dal decreto su pensioni e reddito di cittadinanza, che permette a una vasta platea
di lavoratori la possibilità di calcolare in modo personalizzato la propria pensione. Le principali novità, si ricorda, riguardano:
●pensione quota 100 – misura sperimentale in vigore per il triennio 2019-2021 che prevede l’uscita anticipata al raggiungimento di quota 100:
62 anni di età e 38 anni di anzianità contributiva. Prevista una finestra mobile di posticipo di 3 mesi (6 mesi per i dipendenti
del pubblico impiego, che usciranno a partire dal 1° agosto).
●blocco dell’incremento per la speranza di vita sulle pensioni anticipate e decorrenza con finestre trimestrali – misura sperimentale in vigore per gli anni 2019-2026 che blocca l’incremento per
la speranza di vita per le pensioni anticipate con il solo requisito contributivo, il quale rimane fisso a 42 (41 per le donne)
anni e 10 mesi di anzianità contributiva. Prevista una finestra mobile di posticipo di 3 mesi.
●opzione donna – l’estensione del ricalcolo contributivo per le donne che entro il 31 dicembre 2018 hanno maturato 35 anni di contributi
e almeno 58 anni di età se dipendenti e 59 anni se autonome. Rimane in vigore l'applicazione delle finestre mobili di 12 mesi
per le dipendenti e 18 per le autonome.
L'introduzione (seppur sperimentale) di quota 100 in effetti incentiva i lavoratori a effettuare un vero e proprio bricolage previdenziale, spingendoli a prendersi cura del proprio destino: riscattando gli anni di laurea, per esempio, o quelli del servizio militare, ma anche coprendo alcuni buchi contributivi riscattando i periodi scoperti da versamenti. La costruzione della propria pensione va sostanzialmente a sostituire l’approccio tipico del sistema retributivo, in vigore nei decenni scorsi, in cui la rendita pensionistica dell'individuo dipendeva meno di adesso a una serie di scelte in capo al lavoratore, ma era legata a meccanismi di calcolo definiti dalle norme. La prima introduzione del sistema contributivo con la riforma Dini (d.lgs. 335/96) ha mutato profondamente il panorama, spingendo il singolo a una serie di scelte da cui dipende la consistenza dell'assegno pensionistico, oltre che il momento del pensionamento.
Ma quali sono i fattori su cui un individuo può far leva per “lavorare” alla propria pensione futura? Il decretone appena varato dal governo fornisce importanti leve in questo senso, si pensi ad esempio alle possibilità di riscatto agevolato per gli under 45 (che secondo le ultime ipotesi allo studio del governo potrebbe estendersi agli under 50) degli anni di studio universitario. Gli interessati potranno pagare un forfait di poco superiore a 5mila euro l’anno. Un metodo meno costoso di quello tradizionale per i periodi contributivi, che prevede invece come riferimento non una base forfettaria ma l’ultima retribuzione imponibile del lavoratore prima della richiesta sulla quale viene applicata la percentuale del 33 per cento.
Il tool realizzato da Epheso consente anche di calcolare l’impatto dell’adesione a un fondo pensione e di stimarne gli effetti in termini di rendita, sulla base di alcuni assunti di base: l'ammontare della contribuzione, innanzitutto, tra quota volontaria – che in caso di adesione a fondi negoziali prevede il contributo del datore di lavoro – e trattamento di fine rapporto (Tfr), ipotesi di crescita delle carriere lavorative, dell'inflazione, dei mercati azionari e obbligazionari, il profilo di rischio del comparto di investimento scelto (garantito, prudente, bilanciato, aggressivo), oltre all'ipotesi di costi medi per fondi pensione di categoria, ossia negoziali, oppure aperti o anche Pip e, infine, gli oneri medi previsti per la conversione in rendita del montante contributivo accumulato negli anni (secondo i coefficienti di trasformazione correlati alle aspettative di vita).
L'effetto è quello di correlare i versamenti effettuati nelle diverse fasi della propria carriera lavorativa con la rendita pensionistica di secondo pilastro derivante. E verificare così se sarà una cifra sufficiente per le proprie esigenze economiche future o se sarà necessario innalzare la contribuzione o modificare per esempio il profilo di rischio. Buona navigazione.
Ma a prescindere dal decretone, è fondamentale che i lavoratori abbiano a cuore la propria storia previdenziale innanzitutto resistendo alla tentazione di scorciatoie come il lavoro in nero, anche parziale (le cosiddette integrazioni “fuori busta”), che riduce il carico contributivo e che si traduce in pensioni più basse. I lavoratori autonomi, inoltre, devono poi ricordare che chi dichiara al Fisco un reddito il più basso possibile, commisura i versamenti contributivi a queste cifre, contribuendo - anche in questo caso – a ridurre il proprio montante contributivo. Tema non trascurabile per molti professionisti, la cui Cassa privatizzata, a fronte di una bassa contribuzione, eroga prestazioni particolarmente basse. Per questo è necessario pianificare sin dall'inizio della carriera professionale una serie di scelte per allocare in modo efficiente i propri risparmi. Gli italiani hanno una fiducia nell'investimento immobiliare superiore all'effettiva efficienza di questo asset e una crescita in materia di educazione finanziaria e previdenziale sarebbe auspicabile, tuttavia – per contrastare il progressivo calo del tasso di sostituzione tra ultimo stipendio e primo assegno pensionistico, i fondi pensione rappresentano lo strumento più indicato.
© Riproduzione riservata