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Questo articolo è stato pubblicato il 20 agosto 2011 alle ore 09:40.

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ROMA. I numeri, anche i più recenti, sono un invito a tagliare pesantemente la torta del debito pubblico da 1.900 miliardi dismettendo e valorizzando una fetta del monumentale patrimonio immobiliare dello Stato. I primi risultati del censimento sugli immobili della pubblica amministrazione e degli enti locali, a opera del ministero dell'Economia, hanno evidenziato cifre da capogiro. Ministeri (tra i quali per la prima volta il recalcitrante ministero della Difesa), asl, università, ospedali, alloggi Iacp, agenzie fiscali, enti previdenziali, Regioni, Provincie e Comuni - per menzionare i principali - portano a oltre quota 11mila l'entità dei 'proprietari' di 530.000 unità immobiliari, per una superficie complessiva superiore ai 22 milioni di metri quadrati e di quasi 760.000 terreni, prevalentemente agricoli, pari a oltre 13 miliardi di metri quadrati: il tutto per un valore complessivo, a prezzi di mercato, che spazia da un minimo di 250 a un massimo di 368 miliardi.

Che la sforbiciata sul debito pubblico possa o debba passare dal patrimonio immobiliare, tramite alienazioni o valorizzazioni, è però una vecchia, ricorrente tentazione che non riesce a trasformarsi in realtà. Il bilancio dello Stato, quando si mette a confronto il passivo con l'attivo, ridimensiona la gravità del debito/Pil: ma nessun governo di centrodestra e di centrosinistra, per quanto tutti abbiano provato negli anni, è riuscito a mettere seriamente a reddito un patrimonio che il mondo intero invidia all'Italia. E che spesso è centro di costi e non di profitti. Colpa della mancanza finora di un censimento aggiornato e trasparente, delle lungaggini burocratiche per rimuovere l'ostacolo della modifica della destinazione d'uso, della sovrapposizione di competenze e di ruoli, di un mercato immobiliare immaturo. Basta pensare che da svariati anni si tenta di valorizzare o dismettere le caserme in disuso, che sono dei veri gioielli di famiglia, con difficoltà a volte insormontabili e tempi biblici: persino il debito del Comune di Roma avrebbe potuto ottenere un'iniezione di liquidità con l'istituzione di un fondo immobiliare ad hoc nel quale far confluire alcune caserme. Per chi se ne è occupato a tempo pieno al Campidoglio, la partita delle caserme è stata un incubo a occhi aperti.

Anche l'Agenzia del Demanio si è occupata lungamente di una partita da 4 miliardi di euro collegata al patrimonio della Difesa, che è rimbalzata da un governo di centrosinistra a uno di centrodestra, con varia spacchettamenti di miliardo in miliardo. Il censimento degli immobili della Difesa è stato top secret per decenni: e resta da vedere se con l'ultimo tentativo a opera del Mef, per far emergere tutti gli immobili dello Stato, il patrimonio militare in disuso è venuto integralmente alla luce.

La pressione dei mercati finanziari, della Bce, di Bruxelles e di tutti gli Stati 'core' dell'Eurozona sull'Italia, a far presto nel raggiungimento del pareggio di bilancio e nell'abbattimento di un debito/Pil salito al 120%, aprono adesso una nuova finestra di opportunità per riprendere in mano il dossier della valorizzazione e della dismissione del patrimonio immobiliare pubblico per accelerarne il processo. L'opzione Fintecna circolata ieri non è una novità assoluta: ma occorre riversare un pacchetto di immobili a una società fuori dal perimetro della Pa che non sia riconducibile al bilancio dello Stato. Eurostat, l'ufficio statistico e contabile dell'Europa, è sempre pronto a bocciare operazioni di window dressing sui conti pubblici. E se gli immobili pubblici dovessero uscire dalla porta per rientrare dalla finestra, anche in tempi magri come questi l'Italia rischia di vedersi bocciato un ricorso a Fintecna. Altre alternative sono allo studio. Al momento il Mef ha impostato l'istituzione di una Sgr posseduta dal Tesoro proprio per incentivare e sostenere l'avvio della costituzione di fondi immobiliari nell'ambito della finanza locale. (I.B.)

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