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In India un plebiscito per Modi

Molto più che una vittoria, un trionfo oltre le aspettative. Con i 335 seggi che il conto dei voti gli consegna, il Partito nazionalista indù e i suoi alleati polverizzano il Congresso dei Gandhi insieme al tabù che sembrava impedire al leader Narendra Modi la guida del Governo di New Delhi: vale a dire quel sospetto che lo insegue dal 2002, quando il Gujarat di cui era Chief minister fu sconvolto da un pogrom in cui morirono 1.200 persone, in gran parte musulmani.

Tutto superato, tutto alle spalle. Alla fine di una tornata elettorale iniziata il 7 aprile, le urne affidano a Modi una maggioranza schiacciante. Per trovarne una più ampia bisogna risalire indietro fino al 1984, quando il Congresso conquistò 404 seggi sull'onda della commozione destata dall'assassinio di Indira Gandhi. Anche senza gli alleati della coalizione (Nda), il Bjp ha 282 seggi, contro i 272 necessari per controllare la Lok Sabha.
Quella che si è mobilitata in queste elezioni record sotto ogni punto di vista, con un'affluenza in crescita al 66,4% dal 58% del 2009, è un'India stanca delle promesse tradite, un'India che ha votato pensando al lavoro che non c'è o è troppo precario e malpagato, all'inflazione all'8,6%, alle diseguaglianze di un Paese che vede 800 milioni dei suoi abitanti vivere con due dollari al giorno, a un'economia che ha dimezzato la propria crescita, ora inchiodata sotto il 5%, anziché compiere quel balzo in avanti che avrebbe dovuto superare perfino la Cina.

Ogni anno 10-12 milioni di indiani bussano alle porte del mercato del lavoro, per assorbirli l'economia deve crescere a un tasso del 6,5-7%, ancora di più se vuol dar loro la possibilità di trovare un impiego retribuito abbastanza da fargli scalare gli strati sociali e al tempo stesso mantenere famiglie numerose, che sui figli, soprattutto maschi, investono tutto il loro patrimonio, economico e di sogni. Al contrario, New Delhi rischia di dissipare la sua risorsa più preziosa, i milioni di laureati sfornati ogni anno dalle sue università.
Così l'India si è votata al prosaico "dio Pil" e ha voltato le spalle al Congresso e alla sua paternalistica politica di sussidi, saliti in dieci anni dall'1,6% al 2,4% della ricchezza prodotta dal Paese: in pratica quanto lo Stato spende per sanità e istruzione. La manna pubblica non basta più a una popolazione che vuole scuole e insegnanti, ospedali, elettricità e acqua tutto il giorno, strade asfaltate.

Alla guida del Gujarat da 13 anni, Modi ha cavalcato i successi ottenuti nello Stato che per 11 anni su 12 ha superato il tasso di crescita dell'India e che può vantare il 90% di strade asfaltate e corrente elettrica 24 ore su 24. «Votate per Modi - recitava la promessa elettorale - e Modi farà per l'India quel che ha fatto per il Gujarat». Per questo il Bjp ha fatto man bassa di voti anche tra gli strati più umili della popolazione e tra i musulmani. Nell'Uttar Pradesh i nazionalisti hanno conquistato 73 seggi su 80, nel 2009 ne avevano 10. Il Bsp, il partito di riferimento per gli "intoccabili" e per chi vive ai margini del sistema delle caste, perde tutti i 21 seggi che aveva, mentre il Partito Samajwadi, sostenuto in gran parte da musulmani, passa da 23 a 5.

La comunità degli affari, invece, era già tutta per Modi da tempo, tanto che da quando ha ufficializzato la sua candidatura, il 13 settembre, l'indice Sensex ha guadagnato il 22%. Negli ultimi sei mesi, 16 miliardi di dollari sono arrivati sui listini azionari e obbligazionari dai mercati esteri. Dopo averlo tenuto al bando per anni per i fatti del Gujarat, Washington e Londra si sono affrettate a spianare la strada per le prossime visite ufficiali del futuro premier.

Una vittoria così schiacciante lascia ora Modi con pochi alibi di fronte alle sfide che lo attendono. Tanto più che a differenza dei suoi predecessori, non dovrà imbarcarsi in litigiose alleanze di Governo. In pochi mesi dovrà dare il senso della svolta. Non sarà così facile, perché alla Camera alta, da dove devono passare le più importanti riforme su fisco e investimenti esteri, i nazionalisti contano solo su 61 seggi su 245. E poi ci sarà da vincere le resistenze degli Stati, dove è incagliato il 75% dei grandi progetti annunciati in India e mai realizzati. «Il XXI sarà il nostro secolo», ha promesso ieri Modi, il figlio di un venditore di tè che si prepara a governare il Subcontinente.

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