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Questo articolo è stato pubblicato il 18 luglio 2014 alle ore 10:15.
L'ultima modifica è del 18 luglio 2014 alle ore 22:20.

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(LaPresse)(LaPresse)

È finita con un'assoluzione piena. Silvio Berlusconi è stato assolto dal reato di concussione per costrizione perché «il fatto non sussiste» e dall'accusa di prostituzione minorile perché «il fatto non costituisce reato». Dopo tre ore di camera di consiglio, la seconda Corte d'Appello di Milano presieduta dal giudice Enrico Tranfa ha stabilito la non colpevolezza del leader di Forza Italia, che in primo grado era stato condannato a sette anni di reclusione e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Il ribaltamento della sentenza del giugno 2013 è stato totale. «Si è preso atto che non esistono le prove dell'esistenza del reato», è il primo commento a caldo dell'avvocato Franco Coppi, difensore di Berlusconi insieme a Filippo Dinacci. Per Berlusconi si tratta di un'assoluzione "senza se e senza ma", anche se bisognerà attendere le motivazioni della sentenza per comprendere le ragioni della svolta processuale.

Sulle imputazioni di concussione per costrizione e di prostituzione minorile si era combattuta una dura battaglia processuale tra accusa e difesa nell'aula della seconda Corte d'Appello. Il sostituto procuratore generale Piero De Petris aveva chiesto per Berlusconi la conferma della condanna di primo grado, «una pena severa ma giusta», aveva detto nella sua requisitoria. La difesa invece, per bocca di Coppi e Dinacci, aveva chiesto l'assoluzione per «insussistenza dei fatti», ma puntava anche all'annullamento o alla riforma della sentenza di primo grado sostenendo l'inutilizzabilita' delle intercettazioni e l'incompetenza territoriale del tribunale di Milano.

Proprio sulle intercettazioni si era consumato questa mattina l'ultimo scontro in aula. Prendendo la parola, il pg De Petris aveva voluto replicare alle tesi dei difensori di Berlusconi affermando che, anche se in astratto l'inutilizzabilità delle intercettazioni sarebbe configurabile, nel nostro ordinamento sono previsti i requisiti che attivano il bilanciamento tra accusa e difesa previsti dalla sentenza della Corte di giustizia europea. L'acquisizione dei dati, aveva sottolineato De Petris, viene richiesta non dalle autorità di polizia ma da quella giudiziaria. Inoltre il provvedimento deve essere motivato ed è sottoposto al controllo dei giudici, che possono dichiarare la nullità delle intercettazioni. Dinacci aveva replicato sostenendo che la sentenza della Corte europea pone dei requisiti minimi di validità in base a requisiti minimi di legittimità e che tutto ciò che non è previsto è vietato.

Nella loro arringa, martedì scorso, i difensori del leader di Forza Italia avevano ribadito che Berlusconi non aveva impartito nessun ordine al capo di gabinetto della questura di Milano, Pietro Ostuni, per far rilasciare Karima-Ruby El Marhoug la notte tra il 27 e il 28 maggio 2010. Ostuni, infatti, avrebbe agito soltanto perché spinto da «timore reverenziale» nei confronti dell'allora presidente del Consiglio. Quanto a Ruby, per i difensori di Berlusconi la giovane marocchina non avrebbe mai avuto rapporti sessuali con l'ex premier, il quale sarebbe stato davvero convinto che Ruby fosse maggiorenne e soprattutto imparentata con l'ex presidente egiziano Hosni Mubarak. Insomma, per Coppi e Dinacci la sentenza di primo grado è stata «un mostro giuridico» basato più su opinioni che su prove concrete.

De Petris, invece, aveva sostenuto nella requisitoria che Berlusconi impartì un preciso ordine a Ostuni con una «minaccia implicita» e intimidendolo perché voleva impedire che venisse rivelata una imbarazzante verità: quella delle serate hard di Arcore e del sesso con una minorenne.

La Corte d'Appello ha invece accolto le tesi della difesa. Archiviato il processo Ruby (anche se è presumibile il ricorso in Cassazione dell'accusa), sul capo di Berlusconi, che sta scontando un anno in affidamento ai servizi sociali per la frode fiscale sui diritti televisivi Mediaset, pendono ancora due incognite giudiziarie. Nei giorni scorsi la procura di Bari ne ha chiesto il rinvio a giudizio nell'ambito dell'inchiesta sulle escort a Palazzo Grazioli. E a Milano il leader di Forza Italia è iscritto nel registro degli indagati per corruzione in atti giudiziari nell'ambito dell'inchiesta Ruby ter centrata sulla presunta corruzione dei testimoni e sulle presunte false testimonianze nel processo Ruby. Titolare dell'inchiesta è il procuratore aggiunto Pietro Forno, lo stesso pm che per primo raccolse le confessioni di Ruby sulle «cene eleganti» di Arcore.

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