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Questo articolo è stato pubblicato il 08 agosto 2014 alle ore 18:20.
L'ultima modifica è del 09 agosto 2014 alle ore 13:16.

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(Ap)(Ap)

Dove un tempo bombardavamo Saddam, bersaglio dell'Occidente dal '91 al 2003, oggi bombardiamo il califfo Baghdadi. E gli esiti anche questa volta non sono per niente scontati. L'avanzata finora quasi inarrestabile del Califfato minaccia le frontiere della Turchia, membro storico della Nato, e quelle del Kurdistan iracheno, alleato dell'Occidente: più che la protezione dei cristiani e delle minoranze questo è il vero motivo dell'intervento aereo americano contro lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (Isil) guidato da Abu Bakr al Baghdadi.

In Turchia, ricordiamolo, ci sono le basi della Nato e i missili Patriot puntati contro Bashar Assad e ora Ankara confina per centinaia di chilometri con uno Stato islamico radicale: un risultato non esaltante per la politica estera del premier Erdogan, candidato strafavorito alle presidenziali turche di domenica.

I raid hanno l'obiettivo strategico di sostenere il governo centrale di Baghdad che appare, ogni giorno di più, sempre meno centrale e sempre più locale, esteso nella sua sovranità soprattutto alla maggioranza sciita del Sud mentre il Kurdistan è andato per conto suo e l'Isil intende unificare i sunniti sotto la bandiera nera degli integralisti islamici. Per questo quando gli americani hanno iniziato i raid, i generali iracheni di un esercito che si era liquefatto di fronte alle milizie integraliste hanno lanciato subito esaltanti proclami di vittoria.

Ma forse si fidano troppo di un Barack Obama riluttante che era arrivato alla Casa Bianca con la promessa di chiudere la guerra sbagliata di George Bush jr. e ora teme di essere di nuovo coinvolto nel vortice di un conflitto. Soltanto un'estate fa, quando sembrava ormai ineluttabile un attacco alla Siria di Bashar Assad, Obama accettò la mediazione di Putin. Se fosse intervenuto, probabilmente l'Isil, che già controlla metà della Siria orientale, forse oggi si sarebbe istallato anche a Damasco. Ecco perché Obama ha deciso i raid: perché stava sbagliando in Siria e stava sbagliando anche in Iraq, lasciando campo libero ai jihadisti.

Quali sono i bersagli dei caccia americani? L'Isil non è un esercito classico, con basi, centri di comando, caserme. E molto meno equipaggiato di forze armate regolari ma ha un vantaggio: è un obiettivo mobile e sfuggente, come ha dimostrato la sua ascesa sia in Iraq che in Siria che ha colto di sorpresa tutte le analisi dei centri di intelligence.

Il primo target degli americani è fermare i convogli dei miliziani diretti verso Erbil, la capitale del Kurdistan iracheno dove si vivono ore concitate. Non è la prima volta: nel 1991 sul Kurdistan fu dichiarata dall'Onu una zona di divieto di sorvolo per l'aviazione di Saddam e i caccia occidentali ogni giorno pattugliavano questa aerea per proteggere i curdi in fuga dalla repressione del Raìs. Il mini-stato curdo, ora regione autonoma dell'Iraq, è nato allora. Il secondo obiettivo dei raid è colpire l'artiglieria dell'Isil e rompere l'assedio intorno ai villaggi curdi e cristiani. Per questo alcuni di questi centri sono stati abbandonati senza combattere dai peshmerga, i miliziani curdi, e svuotati della popolazione civile.

Fermare l'Isil, branca autonoma di Al Qaeda, potrebbe rivelarsi un esercizio complicato come afferrare una saponetta bagnata. Tra Siria e Iraq il Califfato conta su circa 30mila uomini presenti su un territorio esteso quanto il Belgio e che da est a ovest va dalla seconda città irachena di Mosul fino al capoluogo siriano di Raqqa, mentre da nord a sud si allunga da Mosul a Tikrit fino ricongiugersi con la Siria.

Come hanno potuto alcune decine di migliaia di miliziani avere la meglio di un esercito come quello iracheno di 270mila uomini? La spiegazione secondo la maggior parte degli osservatori non sta soltanto nella motivazione più forte che ispira i jihadisti rispetto ai soldati governativi, ma anche nel sostegno su cui hanno potuto contare tra gli armati delle formazioni tribali e la popolazione sunnita, scontenta per le politiche governative giudicate settarie e discriminatorie. Anche questa volta le soluzioni non sono soltanto militari: i raid aerei potrebbero non bastare a sconfiggere il nuovo Califfo.

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