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Questo articolo è stato pubblicato il 16 agosto 2014 alle ore 09:39.
L'ultima modifica è del 16 agosto 2014 alle ore 17:36.

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(LaPresse)(LaPresse)

Una folla oceanica alla messa del Papa. Un milione per gli organizzatori locali, circa 800mila per il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, certo una massa sterminata si è riversata questa mattina nella grande area della Porta di Gwanghwamun, a Seul per la beatificazione di un secondo gruppo di martiri coreani.

«Oggi molto spesso sperimentiamo che la nostra fede viene messa alla prova dal mondo, e in moltissimi modi ci vien chiesto di scendere a compromessi sulla fede, di diluire le esigenze radicali del Vangelo e conformarci allo spirito del tempo» ha detto Papa Francesco nell'omelia in occasione della beatificazione di 124 martiri coreani. Proprio i martiri, ha ammonito il Pontefice, «ci richiamano a mettere Cristo al di sopra di tutto e a vedere tutto il resto in questo mondo in relazione a Lui e al suo Regno eterno. Essi ci provocano a domandarci se vi sia qualcosa per cui saremmo disposti a morire».

Nella sua omelia presso la Porta di Gwanghwamun, nel terzo giorno del suo viaggio apostolico in Corea, il Papa ha reso omaggio a Paul Yun Ji-Chung e 123 compagni martiri, ricordando il fatto che fossero tutti laici. «Oggi -sono le parole del papa, riportate dalla Radio Vaticana- celebriamo questa vittoria in Paolo Yun Ji-chung e nei suoi 123 compagni. I loro nomi si aggiungono a quelli dei Santi Martiri Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e compagni, ai quali poc'anzi ho reso omaggio. Tutti vissero e morirono per Cristo ed ora regnano con Lui nella gioia e nella gloria. Con San Paolo ci dicono che, nella morte e risurrezione del suo Figlio, Dio ci ha donato la vittoria più grande di tutte».

L'esempio dei martiri «ci insegna l'importanza della carità nella vita di fede. Fu la purezza della loro testimonianza a Cristo, manifestata nell'accettazione dell'uguale dignità di tutti i battezzati, che li condusse ad una forma di vita fraterna che sfidava le rigide strutture sociali del loro tempo. Fu il loro rifiuto di dividere il duplice comandamento dell'amore a Dio e dell'amore al prossimo che li portò ad una così grande sollecitudine per le necessità dei fratelli». «Il loro esempio -ha aggiunto il Papa- ha molto da dire a noi, che viviamo in società dove, accanto ad immense ricchezze, cresce in modo silenzioso la più abbietta povertà; dove raramente viene ascoltato il grido dei poveri; e dove Cristo continua a chiamare, ci chiede di amarlo e servirlo tendendo la mano ai nostri fratelli e sorelle bisognosi». L'eredità dei martiri «può ispirare tutti gli uomini e le donne di buona volontà ad operare in armonia per una società più giusta, libera e riconciliata, contribuendo così alla pace e alla difesa dei valori autenticamente umani in questo Paese e nel mondo intero».

«La chiesa cattolica in Corea ha già 103 santi martiri (canonizzati da Giovanni Paolo II nel 1984) e oltre a questi, con la beatificazione di oggi, ha anche 124 beati», ha commentato il cardinale Andrew Yeom Soo-jung, arcivescovo di Seul ricordando che la zona attorno a Gwanghwamun «è il sito storico dove sono stati martirizzati i numerosi antenati della nostra fede. In essa si situavano inoltre anche i dicasteri principali della dinastia di Chosun».

«La Chiesa Cattolica in Corea - ha spiegato il cardinale Yeom Soo-jung - è cresciuta sul sangue dei martiri e si è dimostrata un buon esempio per la società coreana promuovendo la giustizia e i diritti umani». L'auspicio del primate coreano è dunque che la beatificazione di oggi sia «occasione di sollecito per realizzare la concordia e l'unità non solo dei cattolici coreani ma anche del popolo coreano e di tutti gli altri popoli asiatici, attraverso lo scambio della fraternità universale».

«La Chiesa coreana - ha assicurato il porporato - cercherà sempre di essere la luce e il sale per l'evangelizzazione del mondo, e di essere inoltre una chiesa che serve i poveri, gli oppressi e gli emarginati facendo sentire loro la gioia del Vangelo».

Poi il Papa, dopo essersi trattenuto più del previsto con i disabili del centro di recupero di Kkottonangnae, ha dovuto accorciare il programma previsto per il pomeriggio ed è saltata la preghiera dei vespri con i religiosi.
«Arrivo qui - ha spiegato Francesco entrando nella sala della School of Love di Kkottonangnae - con un problema: se c'è una cosa che mai si deve trascurare è la preghiera. Oggi faremo la preghiera da soli, perché ho l'elicottero che mi aspetta e se non lo prendo in tempo c'è pericolo che si finisca sfasciati su una montagna». E ancora «l'ipocrisia di quegli uomini e donne consacrati che professano il voto di povertà e tuttavia vivono da ricchi, ferisce le anime dei fedeli e danneggia la Chiesa» ha ribadito il Papa incontrando le comunità religiose e i presidenti della associazioni religiose maschili e femminili cattoliche di Corea, nella School of love di Kkottongnae.

Papa Francesco si è fermato qualche istante in silenzio davanti alla stele e alle croci bianche, che la circondano come in un cimitero, con le quali sulla collina di Kkottonangnae, nei pressi di Seul, sono ricordati i bambini non nati a causa dell'aborto. Tra i fedeli in attesa ha poi salutato il giovane missionario disabile (privo di braccia e gambe) Gu-won Lee, oggi consacrato laico della Società intitolata a san Luca Hwang.

(S.Bio.)

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