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Questo articolo è stato pubblicato il 10 settembre 2014 alle ore 08:45.
L'ultima modifica è del 10 settembre 2014 alle ore 10:23.

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Il bandolo della matassa
Per provare a tirare il bandolo della complicatissima matassa si è obbligati a partire dalla certezza, sostenuta dalla difesa dei due indagati (rappresentata dall'avvocato Francesco Ciabattoni del foro di Ascoli Piceno), che l'opera, un Cristo in legno di 40,2 centimetri, era in costante possesso di Boccardelli dal 5 settembre 1979, allorché il Patriarca Melchita di Costantinopoli Maximos V la consegnò al conte Ugolini, per farla sfuggire ai bombardamenti ai quali era sottoposto in quel periodo il monastero di Ain-Traz (Libano) nel quale era custodito. Il Conte Ugolini, con carta intestata dell'Ambasciata d'Italia a Beirut, il 31 luglio 1979 assicurò il Patriarcato che l'opera, «forse di artista italiano del Rinascimento», secondo la legislazione italiana poteva, senza alcuna difficoltà, «essere temporaneamente importata per ragioni di studio e restauro». Il Cristo venne poi tenuto principalmente in una cassaforte a Villa Vecchia di Monte Porzio Catone, vicino Frascati (Roma). Per usucapione, dunque, sostiene la difesa nella memoria spedita a San Marino e Torino, il bene è stato del conte Ugolini e poi di Boccardelli, suo erede, come provato dal testamento olografo originale rinvenuto a sorpresa nella stessa cassetta di sicurezza.
L'opera, dunque, è rimasta in Italia fino al 2009 ma poi…Poi la "fuga" verso San Marino la cui ricostruzione viene fatta, in un interrogatorio reso il 19 aprile 2013 al pm Ferrando nel carcere di Viterbo, dallo stesso Boccardelli.

Il Cristo nel bagagliaio
Dopo aver ricordato che poco dopo la stipulazione del preliminare del contratto d'affitto per nove anni dei due rami di azienda "ristorazione" e "albergo" di Villa Vecchia «emerse che l'interessato all'acquisto era tale Rocco Molè di Gioia Tauro, persona legata a cosche malavitose locali» e dopo «pesantissime minacce e la sottoscrizione di un contratto di affitto a zero euro», alla luce delle ripetute e gravi minacce ricevute da ignoti, «in relazione proprio ad un possibile furto della statua, decidemmo di portare il Cristo a San Marino. Ricordo in particolare che mi telefonò la segretaria dell'Università Lateranense, molto allarmata e molto preoccupata per le minacce di cui ho detto. Insieme a Balestrieri decidemmo d'urgenza di effettuare il trasporto a San Marino. Ci recammo in macchina. Il Cristo era custodito in una scatola nel bagagliaio. Non ho richiesto nessuna autorizzazione a questa esportazione perché non ritenevo fosse necessario. Non ci ho proprio pensato in quanto la cosa principale che mi premeva in quel momento era salvare il Michelangelo. Al posto di frontiera non mi è stato chiesto nulla in quanto ero molto conosciuto ed in particolare non mi è stato chiesto se avevo qualcosa da dichiarare…Ci siamo subito recati presso la banca dove Balestrieri ha aperto la cassetta e abbiamo depositato il Cristo…»

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