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Questo articolo è stato pubblicato il 12 settembre 2014 alle ore 06:36.
L'ultima modifica è del 12 settembre 2014 alle ore 08:16.

Insomma la questione dirimente di questa vicenda è una sola: a chi è andato il miliardo che il gigante petrolifero italiano ha pagato su un conto gestito dal Governo nigeriano? Eni ha sempre sostenuto di non essersi avvalsa di alcun intermediario e di aver sempre negoziato direttamente con il Governo della Nigeria. In un'audizione al Senato, l'aprile scorso, l'allora Ad Scaroni aveva dichiarato: "Noi trattiamo solo con i governi. Niente intermediazione". E il responsabile dell'ufficio legale Massimo Mantovani aveva reiterato: "Non abbiamo utilizzato alcun tipo di intermediario. I pagamenti sono andati - ci siamo assicurati - in un conto del Tesoro della Nigeria".
Eppure documenti, intercettazioni, email e testimonianze raccolte dal nostro giornale - oltre che la sentenza di un tribunale civile di Londra - indicano che un'intermediazione c'è stata. Non solo: da messaggi di posta elettronica di cui Il Sole 24 Ore è entrato in possesso risulta evidente che il Governo nigeriano aveva un semplice ruolo di garante tra Eni e Malabu e che, in base agli accordi presi, il denaro pagato sul conto del Tesoro a cui ha fatto riferimento l'avvocato Mantovani sarebbe dovuto andare Malabu/Etete.
Certo è che su quel conto il miliardo depositato dell'Eni è rimasto ben tempo. E sebbene molti dei beneficiari finali rimangano ancora ignoti, il nostro giornale è in grado di ricostruire alcuni passaggi-chiave. Già il primo è estremamente interessante. Pochi giorni dopo aver ricevuto il miliardo e 92 milioni, per l'esattezza il 31 maggio 2011, ci risulta che JP Morgan abbia ricevuto istruzioni dal Governo nigeriano di trasferire l'intera somma su un conto svizzero.
La banca in cui era stato aperto quel conto era la Banca della Svizzera Italiana, una controllata del gruppo assicurativo triestino Generali (di cui, ironia della sorte, l'allora Ad dell'Eni Paolo Scaroni era consigliere di amministrazione). Quando i funzionari svizzeri si vedono arrivare un bonifico di quella portata aprono immediatamente una due diligence. E trovando quel bonifico sospetto decidono di restituire il denaro. Che così torna sul conto JP Morgan a Londra.
A Il Sole 24 Ore risulta che quel conto fosse legato a una scatola vuota di nome Petro Service. E che a interessarsi di quell'operazione sia stato Gianfranco Falcioni, un uomo d'affari italiano da 42 anni in Nigeria che gestisce un'importante azienda di supporto all'industria petrolifera, la Alcon Nig Ltd. Falcioni è anche vice-console onorario italiano nella città di Port Harcourt, un porto sul delta del Niger.
Raggiunto telefonicamente dal nostro giornale, l'uomo d'affari non ci ha aiutato a fare chiarezza. Dopo aver esordito sostenendo di non "saperne niente", ci ha spiegato che "la Petro Service è una società costituita anni fa per altre cose, ma che non ha mai operato". Falcioni ha poi detto che "non è mai andato niente su Petro Service".