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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2014 alle ore 19:53.
L'ultima modifica è del 25 settembre 2014 alle ore 11:49.
Un'intera pagina del Financial Times per tornare all'attacco del recalcitrante governo argentino. L'American Task Force Argentina (Atfa) continua a perseguire la sua strategia di lavoro ai fianchi dopo che Buenos Aires ha deciso, lo scorso luglio, di ribellarsi alle decisioni del giudice di New York, Thomas Griesa, finendo in default (questa volta tecnico) per l'ottava volta nella sua storia. Ben due episodi negli ultimi 13 anni.
Così l'associazione Usa che tutela gli investitori in titoli argentini, che dal suo sito Factcheck Argentina giorno dopo giorno documenta lo scontro continuo tra due punti di vista al momento del tutto inconciliabili - le legittime pretese dei creditori e le tesi difensive dei debitori - ha investito pubblicando sul quotidiano della City un messaggio che vede al centro la foto della "presidenta" Cristina Fernandez de Kirchner e subito sopra un claim eloquente, riferendosi al paese sudamericano: «Un modello di scorrettezza».
L'espressione è stata utilizzata dal ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble lo scorso 31 agosto a Berlino. Uno dei massimi teorici dell'austerità merkeliana imposta ai governi dei Paesi periferici europei alle prese da anni con la crisi del debito (non sono mancati i progressi, per esempio in Iralanda e Spagna, ma il prezzo finora sono stati elevatissimi costi sociali e un quadro generale dell'economia europea preoccupante, con bassa crescita e una pericolosa tendenza alla deflazione) ha addossato all'Argentina stessa le responsabilità dell'attuale situazione.
«Come si fa ad accusare gli altri di essere degli avvoltoi - ha detto in sostanza Schaeuble - se in realtà sono gli stessi argentini a vivere da anni al di sopra dei propri mezzi? Non pagano i loro debiti (tema molto caro alla Germania, ndr) e per questa ragione il Paese è stato isolato dal mercato internazionale dei capitali».
Secondo l'Atfa il punto è proprio questo: la Kirchner non rispetta le sentenze e continua a cercare pretesti per rifiutarsi di pagare gli hedge fund che hanno ottenuto soddisfazione dal giudice Griesa. La stessa pagina a pagamento pubblicata sul Financial Times cita anche il senatore democratico degli Stati Uniti Robert Menendez, secondo il quale «non c'è ragione per cui un paese del G20 debba negare di fare fronte ai propri impegni legali e finanziari»
Da dove parte questa vicenda infinita? Nel 2001-2002 Buenos Aires dichiarò default su quasi cento miliardi di dollari di debito estero. Dopo lunghe trattative nel 2005 e 2010 optò per una ristrutturazione, con perdite fino al 70% per gli investitori. Il 7% di questi non accettò l'offerta di Buenos Aires e tra loro anzitutto due hedge americani, NML Capital di Paul Singer e Aurelius, specializzati nel comprare a basso prezzo debito in crisi.
Sono proprio loro che hanno deciso di sfidare l'Argentina nei tribunali americani chiedendo il pagamento senza sconti dei bond, 1,3 miliardi di dollari, lievitati a 1,5 miliardi con gli interessi. La magistratura americana, Corte Suprema compresa, ha dato loro ragione, in sentenze comunque contestate perché intervengono su titoli in dollari ma di debito sovrano di un altro paese.
Buenos Aires ha sostenuto di trovarsi nell'impossibilità materiale e legale di raggiungere rapidamente un nuovo accordo con gli hedge. E alla fine, messa all'angolo da Griesa, ha deciso di fare default anche nei confronti di chi aveva aderito alle ristrutturazione piuttosto che pagare quanto doveva ai possessori di vecchi titoli. Da sottolineare che il governo argentino aveva già affidato a Bank of New York Mellon i 539 milioni necessari a saldare regolarmente entro i termini del 31 luglio scorso i creditori con cui aveva raggiunto l'accordo di ristrutturazione.
L'obiettivo del gran rifiuto (ad ogni costo) nei confronti degli hedge e il rinvio sine die dei pagamenti è anche quello di arrivare alla fine del 2014, quando perderà di efficacia la clausola Rufo (Rights Upon Future Offering). Di fatto gli hedge favoriti dalla sentenza Griesa perderebbero il diritto ad ottenere termini più generosi rispetto ai soggetti che avevano accettato quanto fissato dalla ristrutturazione del 2010.
Intanto con riserve in dollari quasi dimezzate a 29 miliardi e il peso sotto un'enorme pressione la presidenta non rinuncia a tentare ogni strada alternativa, per quanto immaginifica o difficilmente percorribile. Tra le ipotesi l'aggiramento della giurisdizione statunitense attraverso pagamenti di titoli ristrutturati in Argentina o in Francia. Altra ipotesi sul tavolo del ministro dell'economia Axel Kicillof un'intesa con Pechino per non dover pagare il deficit commerciale in valuta statunitense.
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