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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2014 alle ore 07:59.
L'ultima modifica è del 01 ottobre 2014 alle ore 09:19.

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Profughi (Reuters)Profughi (Reuters)

Al Punto Zero, così lo chiamano i curdi, dove i colpi di artiglieria dell'Isis sono troppo vicini, Mahamoud spegne il motore. Si va a piedi. «Queste - dice indicando oltre il filo spinato - sono le prime case di Kobane dove già sventola la bandiera nera del Califfato». Nell'assedio della città siriana a 500 metri dal confine turco, stritolata da due settimane nella morsa dei jihadisti, il presidente Erdogan si gioca la faccia e un pezzo della sua politica estera.

Se interviene entra in guerra con i jihadisti, se non fa nulla Kobane crolla, mentre i combattenti curdi, venuti da ogni parte della Turchia per aiutare i fratelli siriani, si scontrano con la gendarmeria e l'esercito che impediscono ai volontari di attraversare la frontiera.

Ha deciso per una via di mezzo, mentre i raid americani non hanno ancora bloccato l'avanzata del Califfato e lui appare come l'alleato più riluttante di Washigton. Non ha concesso neppure la base aerea di Incirlik e gli Stati Uniti pensano di insediarsi a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno dove i curdi hanno lanciato una controffensiva contro i jihadisti del Califfo Abu Bakr al Baghdadi.

I soldati turchi per il momento hanno abbandonato i posti di frontiera come Mushinpinar che ora sono controllati dai curdi. Ma è una situazione precaria, che crea una sorta di terra di nessuno sull'orlo del precipizio siriano. Certo non è ancora la “zona cuscinetto” di cui si è parlato con insistenza in questi giorni e che sarà decisa soltanto dopo il via libera del Parlamento alle operazioni militari fuori dai confini. I jihadisti sono a un passo dalla conquista di questa città strategica, segnata sulla carta della ex Siria come Ain al Arab: dai reticolati che corrono in parallelo al tracciato della vecchia ferrovia Berlino-Baghdad si intravedono le loro postazioni che martellano con i mortai i peshmerga curdi a difesa della città, rimasta senza cibo e acqua mentre dall'altra parte, a 30 chilometri, le dighe sull'Eufrate del progetto Gap irrigano campi di cotone, frutta e pistacchi intorno alla pianura di Sanliurfa.

«Loro hanno cannoni e razzi, i nostri peshmerga combattono soltanto con i kalashinkov», scuote la testa sconsolato Abdulkarim Hassan che è riuscito a varcare il confine prima che i turchi con i buldozer scavassero un vallo per bloccare il passaggio delle auto dei profughi, curdi e arabi siriani. La Turchia, secondo cifre non ufficiali, ne ospita un milione e mezzo. Abdulkarim rivolge l'ultimo sguardo verso la Siria e dietro al filo spinato incrocia i volti impauriti dei più sfortunati, rimasti intrappolati tra le ultime case di Kobane e le milizie del Califfato.

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