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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2014 alle ore 09:14.
L'ultima modifica è del 07 ottobre 2014 alle ore 09:57.

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Lo hanno (ri)chiesto ma, lui, in Italia, non arriverà tanto facilmente.
Parliamo di Giorgio Hugo Balestrieri, proprietario della cassetta di sicurezza in una banca di San Marino nella quale è custodito il Cristo ligneo attribuito a Michelangelo.
Lo hanno arrestato a Casablanca (Marocco), dove si trovava ufficialmente per lavoro, in virtù di un mandato di arresto dell'Interpol (su richiesta della Dda di Reggio Calabria) del 2011. Da Casablanca, il 22 settembre, alle 16.41 ha spedito la sua prima e unica mail ai tre avvocati che lo seguono, dopo di che è sparito dai radar. Da quello dei suoi legali, dei suoi amici e connazionali statunitensi (è cittadino Usa, dove risieda dal 1981), dei suoi colleghi di lavoro e dei suoi familiari.
Proprio quella mail, il cui oggetto è “Estradizione Casablanca Italia”, fa però capire che ci potrebbero essere colpi di scena inattesi. «Mi hanno avvertito – scrive infatti ai suoi tre avvocati – che mi manderanno in Italia».

Fbi avvertita
Fin qui tutto normale ma è la frase successiva che si presta a doppia interpretazione e che, a lume di naso, sembra chiamare in causa i magistrati di Reggio Calabria che da anni attendono di interrogarlo non tanto e non solo con riguardo alle vicende che ruotano intorno al porto di Gioia Tauro e alla ‘ndrangheta, quanto sul ruolo (vero o presunto) di collettore e mediatore tra agenzie (i suoi apparati deviati?) di servizio americane, italiane e influenti famiglie calabresi di stampo mafioso. Vero? Falso? Il pm della Procura di Reggio Roberto Di Palma e, prima ancora, i suoi colleghi di Palmi (Reggio Calabria) vorrebbero o avrebbero voluto tanto saperlo anche se, da più di uno, sono stati e saranno ancora messi in guardia sul potere e sulla rete internazionale a protezione di Balestrieri.

Un potere e una rete che sbandiera (o millanta?), appunto, in quella frase che segue: «Ho avvertito Fbi – prosegue infatti nella mail ai suoi tre avvocati – che vedano di non farmi fare brutti incontri».
Fine delle trasmissioni, non prima di aggiungere che la Procura generale di Reggio Calabria ha (ri)spedito tutti gli incartamenti che riguardano Balestrieri al ministero dell'Interno che, a sua volta, ha avanzato richiesta di estradizione al Marocco in nome e per conto della stessa Procura generale, Istituzione titolata ad avanzare la domanda.

Brutti incontri
Più brutti, di incontri investigativi, per lui, che con la procura di Reggio Calabria non se ne vedono ma è certo che quella frase è sibillina e si presta anche ad un'altra interpretazione. Quella che lui ha sempre sventolato negli anni come una minaccia a sé e ai suoi compagni temporanei (più o meno) di viaggi e affari. La minaccia rappresentata dalla ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro che, come nel caso del crocefisso ligneo attribuibile a Michelangelo voleva, secondo la sua linea di difesa, impossessarsi del capolavoro senza guardare in faccia a nessuno. Del resto, già in un'intervista a Consolato Minniti, su Calabria Ora del 20 agosto 2011, Balestrieri disse: «Volete che torni in Italia? Ed allora proteggetemi. Se non ci sarà un'adeguata protezione non verrò mai in quel Paese perché sono certo che qualcuno vorrà farmi la pelle…».

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