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Questo articolo è stato pubblicato il 09 ottobre 2014 alle ore 10:46.
L'ultima modifica è del 10 ottobre 2014 alle ore 13:49.

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Toto' Riina (Cufari)Toto' Riina (Cufari)

La Corte di Assise di Palermo ha rigettato la richiesta degli imputati Totò Riina, Leoluca Bagarella e Nicola Mancino (quest’ultimo imputato di falsa testimonianza) di assistere, in videoconferenza, alla deposizione del capo dello Stato, nell'ambito del processo sulla trattativa Stato-Mafia, fissata al Quirinale per il 28 ottobre. «L'esclusione non appare contrastare con le norme costituzionali ed europee», ha detto il presidente della Corte d’Assise, Alfredo Montalto, leggendo l’ordinanza nell'aula bunker dell'Ucciardone di Palermo. Esclusa, oltre alla presenza degli imputati, anche quella del pubblico.

La Corte: Quirinale gode di immunità, non lesi diritti difesa
Per la Corte d'assise di Palermo l'esclusione della presenza degli imputati alla deposizione del capo dello Stato nel processo sulla trattativa Stato-mafia non lede il diritto di difesa. Al Quirinale la Costituzione riconosce infatti una «immunità che di per sé impedisce la presenza degli imputati alla deposizione del capo dello Stato. Il presidente Montalto ha aggiunto poi nell’ordinanza che «ad ulteriore conferma dell'esclusione» deve considerarsi il fatto che «per gli imputati per i quali è già esclusa la presenza fisica in udienza anche nelle aule di giustizia ordinaria, quali Riina e Bagarella, la previsione rende ancora più evidentemente incompatibile la presenza degli stessi nella sede del Quirinale. Né in assenza di norme specifiche, potrebbe farsi ricorso alla partecipazione a distanza, poiché questa è prevista solo per le attività svolte nelle aule d'udienza».

L’ok della Procura
La procura di Palermo, in una memoria depositata alla Corte d'Assise, aveva invece dato parere favorevole alla partecipazione dei boss Totò Riina e Leoluca Bagarella (oltre che dell'ex ministro Nicola Mancino) alla deposizione, al Quirinale, del capo dello Stato al processo sulla trattativa Stato-Mafia, prevista il 28 ottobre. I capimafia avrebbero dovuto partecipare in videoconferenza dal carcere, mentre Mancino avrebbe potuto assistere dal Quirinale. Secondo i pm la possibilità di partecipare all'udienza, seppure con le forme della videoconferenza, sarebbe prevista dalla norma richiamata dalla Corte d'Assise per lo svolgimento dell'udienza al Quirinale, cioè l'articolo che disciplina l'audizione del teste sentito a domicilio. Inoltre - per la Procura - alla luce dei principi generali che consentono all'imputato di partecipare al processo, un'eventuale esclusione, a fronte di una precisa istanza, potrebbe determinare una nullità processuale.

La richiesta dei capimafia
Nei giorni scorsi i capimafia Totò Riina e Leoluca Bagarella, intervenendo al processo sulla trattativa Stato-mafia, avevano espresso la volontà di partecipare, in video-collegamento, all'udienza del 28 ottobre, fissata, al Quirinale, per la deposizione del capo dello Stato Giorgio Napolitano. L'Avvocatura dello Stato si era opposta.

La deposizione di Napolitano il 28 ottobre
La Corte di assise di Palermo ascolterà il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il 28 ottobre a partire dalle 10 al Quirinale come testimone nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia. In una lettera inviata al Tribunale di Palermo, il presidente della Repubblica aveva confermato la propria «disponibilità alla testimonianza» al Quirinale. Il capo dello Stato dovrebbe riferire dei timori espressigli dal suo ex consigliere giuridico Loris D'Ambrosio, poi morto, su episodi accaduti tra il 1989 e il 1993 riconducibili, secondo i magistrati, proprio alla trattativa Stato-mafia. Il capo dello Stato nello scorso novembre aveva inviato una lettera al presidente della Corte nella quale diceva di non aver avuto «ragguagli» o «specificazioni» da D'Ambrosio riguardo ai quei timori e, pertanto, di non avere «da riferire alcuna conoscenza utile al processo». Ciononostante, il collegio
ha ritenuto di dover ugualmente raccogliere la testimonianza di Napolitano, che ha detto di non avere problemi a deporre.

I temi dell’audizione
Di particolare interesse per i pubblici ministeri palermitani è il passaggio in cui D'Ambrosio riferendosi al periodo 1989-1993, in cui il magistrato è stato in servizio all'Alto commissariato per la lotta alla mafia e poi al ministero della Giustizia, scrive rivolgendosi al capo dello Stato: «Lei sa che non ho esitato a fare cenno a episodi del periodo 1989-1993 che mi preoccupano e mi fanno riflettere; che mi hanno portato a enucleare ipotesi - solo ipotesi - di cui ho detto anche ad altri, quasi preso anche dal vivo timore di essere stato allora solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi». Nessuna domanda potrà invece essere fatta al capo dello Stato a proposito delle telefonate fatte dall'ex senatore Nicola Mancino, imputato in questo processo, al presidente della Repubblica e finite nel calderone delle intercettazioni i cui file audio sono stati distrutti così come deciso dalla Corte costituzionale che ha accolto il ricorso del Quirinale. I paletti sono stati fissati dalla Corte d'assise con l'ordinanza del 17 ottobre dell'anno scorso con la quale ha ammesso, tra gli altri, la testimonianza del capo dello Stato.

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