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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2014 alle ore 18:54.
L'ultima modifica è del 10 ottobre 2014 alle ore 18:58.

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Erasmo D’AngelisErasmo D’Angelis

I soldi per mettere in sicurezza il fiume Bisagno, uno di quelli che ha provocato il disastro dell'altra notte a Genova, ci sono da 4 anni: ma i quasi 36 milioni stanziati dal governo sono chiusi in un cassetto, bloccati da burocrazia e ricorsi. E così Genova, invece di avere 9 km di fiume in sicurezza, in una zona dove vivono circa 100mila persone, conta ancora una volta danni e vittime.

La vicenda del Bisagno è l'ennesimo pasticcio all'italiana che dimostra come spesso, e nonostante gli urli della politica, il problema non sia la mancanza di soldi. Nel 2010 accade infatti che il ministero dell'Ambiente e la Regione Liguria firmano un accordo di programma con cui si assegnano per il rifacimento del tratto sotterraneo del Bisagno - 9 km appunto - 35,7 milioni.

«Soldi che servivano - spiega Erasmo D’Angelis, il capo di #Italiasicura, la struttura voluta da palazzo Chigi contro il dissesto idrogeologico - ad allargare il tunnel e far sì che il torrente potesse scorrere in totale sicurezza in una zona altamente popolata. E ad evitare, poiché ci sono stati errori idraulici clamorosi quando il fiume è stato interrato, che potesse nuovamente esondare». Cosa, invece, puntualmente avvenuta. Ma dove sono finiti quei soldi?

«Sono ancora lì, inutilizzati», risponde amaro D’Angelis. Il perché è un lungo elenco di ricorsi e passaggi burocratici che non si sono ancora conclusi. «La messa in sicurezza di alcune zone del territorio - aggiunge - si scontra con un'alluvione di burocrazia. E così non si realizzano opere che salvano vite e città».

L'alluvione di carta di cui parla D’Angelis è il seguente. A marzo del 2012, la gara d'appalto indetta nell'ottobre del 2011 si chiude con l' assegnazione dei lavori al Consorzio stabile per le infrastrutture, un'Ati composta da diverse società. Il Consorzio, però, non riesce neanche ad aprire il cantiere: alcune ditte sconfitte presentano un ricorso al Tar della Liguria che accoglie il ricorso e sospende la gara.

Quando arrivano le motivazioni della decisione del Tar, nel 2013, l'Ati che si era aggiudicata l'appalto ricorre al Consiglio di Stato che annulla la sentenza del Tar Liguria sostenendo che la competenza sia di quello del Lazio. Si arriva così a questa estate quando, il 14 luglio, il Tar del Lazio respinge il ricorso dalle ditte sconfitte.

Tutto finito? Neanche per sogno. Una delle società sconfitte - la Pamoter - ha inviato al Commissario delegato, il presidente della Liguria Claudio Burlando, una diffida a non far partire i lavori sostenendo che non ci sono ancora le motivazioni della sentenza del Tar. I tecnici di palazzo Chigi e della Regione stanno cercando di capire come venirne a capo e far partire subito l'opera.

Ma intanto è tutto fermo, con il contratto chiuso nel cassetto senza alcuna firma, i 35,7 milioni bloccati e il Bisagno che esonda tranquillo e beato. (Ansa)

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