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Questo articolo è stato pubblicato il 16 ottobre 2014 alle ore 21:59.
L'ultima modifica è del 16 ottobre 2014 alle ore 23:13.

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Il tribunale di Parigi ha condannato a una multa di 100mila euro la filiale francese del servizio di trasporto privato Uber, startup californiana miliardaria attiva in 45 Paesi che vede tra i suoi finanziatori colossi come Google Ventures e Goldman Sachs. La sanzione è dovuta al fatto che, secondo i giudici parigini, Uber ha commesso un reato pubblicizzandosi come servizio di car pooling (condivisione del viaggio e delle spese) mentre a tutti gli effetti svolgerebbe un servizio taxi.

UberPop ha già subito sospensioni del servizio a Berlino e in altre città europee e americane (inclusa San Francisco, dove ha sede) spesso perché non rispetterebbe le normativa sulla sicurezza dei passeggeri. In Germania lo ha poi salvato un cavillo. Come in altre occasioni la risposta della società fondata da Travis Kalanick è stata che non rinuncerà a svolgere il suo normale servizio e ricorrerà in appello.

Il piccolo particolare è che, questa volta, saranno i clienti a rischiare. Il tribunale, infatti, ha ingiunto a Uber di diffondere su due siti internet francesi una nota che dia notizia del giudizio e menzioni il fatto che gli utilizzatori di UberPop «rischiano una condanna penale».

Uber nonostante l’avanzata inarrestabile (di recente in Italia ha aperto anche a Genova) è da molti mesi al centro delle polemiche in tutto il mondo come altri servizi analoghi negli Stati Uniti, ad esempio Lyft. Secondo Kalanick l’app che rende facile per qualuque possessore di smartphone la prenotazione di una corsa in un auto di lusso (il servizio di noleggio con conducente UberBlack) o in un veicolo guidato da driver privati e selezionati da Uber stessa (in tutto alternativo al servizio taxi pur volendo passare per un avanzato ed “ecologico” modello di car pooling) ha come missione quella di soddisfare una domanda evoluta di mobilità, depotenziando la «lobby dei taxi».

Quest’ultima, è la tesi del vulcanico ceo di Uber, vorrebbe bloccare un alfiere della sharing economy (per analogie si pensi, nel settore dell’ospitalità, ad Airbnb, che pure ha i suoi problemi proprio in queste ore a New York), tenendo in vita un sistema chiuso di licenze costose e utilizzate, a fine attività, come una liquidazione.

Al contrario i tassisti - finora diverse sentenze (tra cui quella francese) hanno dato loro ragione - sostengono che Uber non si attiene alle norme in vigore e, come detto, non rispetta tutte le regole in materia di sicurezza dei clienti. Che tuttavia, finora, vista la crescita della società californiana, sembrano averne apprezzato qualità del trasporto e tariffe.

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