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Questo articolo è stato pubblicato il 28 ottobre 2014 alle ore 07:59.
L'ultima modifica è del 28 ottobre 2014 alle ore 12:05.

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L'attività di indagine ha altresì evidenziato come Giuseppe Galati (classe 1971), attualmente detenuto per una condanna per traffico di stupefacenti, nipote dell'indagato Antonio, abbia continuato a gestire dal carcere, attraverso alcuni familiari, due società operanti nel settore edile, titolari tra l'altro di alcuni subappalti in alcuni cantieri della Tangenziale est esterna di Milano (Teem), un'opera che rientra tra le grandi opere connesse ad Expo 2015. Nel procedimento Quadrifoglio, Giuseppe Galati è indagato per i reati di partecipazione ad associazione mafiosa, nonchè di importazione e detenzione abusiva di armi da fuoco.

Intimidazioni e pestaggi
La cosca legata per la Dda a Galati si sarebbe inoltre macchiata di intimidazioni contro rappresentanti istituzionali: l'incendio doloso, avvenuto a Giussano l'8 marzo 2013, dell'automobile di un agente della Polizia locale di Giussano, come ritorsione per un controllo stradale a seguito del quale l'indagato Fortunato Galati era stato denunciato per resistenza e violenza contro pubblici ufficiali; l'invio alla direttrice del carcere di Monza di una busta contenente minacce e 3 proiettili inesplosi calibro 9 X 21, quale ritorsione per il mancato accoglimento di alcune istanze presentata da Fortunato Galati, in quel periodo detenuto presso l'istituto. Secondo la rocostruzione di Ros e Dda l'intimidazione venne ordinato dal carcere dal detenuto Fortunato Galati ed eseguita dal suo sodale Antonio Denami, dalla Calabria.

Gli uomini di Galati si sarebbero resi protagonisti di due aggressioni commesse nel 2007: un pestaggio per un debito inevaso, avvenuto a Milano l'11 luglio 2007, di un commerciante d'auto di origine cosentina, nonché il pestaggio inferto il 21 settembre 2007 a un benzinaio di Cantù (Como), punito da Galati per una “mancanza di rispetto” nei confronti della figlia (il benzinaio non aveva accettato un pagamento con bancomat).

Le indagini riguardanti il “gruppo Galati” hanno inoltre fornito elementi di prova in ordine all'intestazione fittizia di beni ed attività commerciali, attuata per eludere l'applicazione delle disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniali; la “protezione” assicurata ad alcuni soggetti vicini ai Galati, coinvolti in dissidi con affiliati ad altri sodalizi ‘ndranghetistici; il sostegno economico alle famiglie di detenuti affiliati alla ‘ndrangheta; un intervento intimidatorio compiuto da Antonio Galati, su richiesta del figlio Giuseppe, per tutelare una persona a loro vicina, nei confronti di altri soggetti che vantavano da questa crediti relativi alla compravendita di sostanze stupefacenti; il ruolo di concorrente esterno della cosca Galati rivestito dall'imprenditore Franco Monzini, il quale ha, tra l'altro, dichiarato falsamente l'assunzione di Antonio Galati, quale proprio dipendente, per aiutarlo a beneficiare della misura alternativa al carcere dell'affidamento in prova al servizio sociale.

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