TOKYO – Non è la fine di una vicenda, ma un inizio: l'Isis, dopo aver decapitato anche il secondo ostaggio, afferma esplicitamente di essere «assetata di sangue giapponese» a causa della decisione del premier Shinzo Abe di aiutare la coalizione che si oppone allo Stato islamico. Così il Paese appare stordito dall'amara sorpresa di ritrovarsi nel mirino di un oscuro potere straniero, dopo 70 anni di relativa tranquillità seguita alla prima occupazione straniera del suo territorio al termine della seconda guerra mondiale.
70 anni di profilo basso sul piano internazionale seguiti al naufragio degli aggressivi sogni di gloria imperiale, vissuti da gregario all'ombra della protezione del grande fratello americano e dedicati a una pacifica espansione economica, con una politica estera finalizzata a smussare i conflitti con la proiezione di un “soft power” poggiato in buona parte sull'erogazione di aiuti allo sviluppo di altri Paesi, inclusi quelli arabi (la cui amicizia corrisponde all'interesse nazionale, vista la dipendenza dall'estero per gli approvvigionamenti energetici).
La testa mozzata di Kenji Goto evidenzia all'opinione pubblica i rischi della nuova strategia chiamata di “pacifismo pro-attivo” promossa dal premier Shinzo Abe, che prevede un innalzamento del profilo internazionale del Paese con l'abbandono di riluttanze e restrizioni all'azione politica e militare fondate su precise limitazioni costituzionali. La sessione della Dieta appena iniziata, non a caso, è chiamata a dare corso legislativo al cambiamento di interpretazione costituzionale deciso l'anno scorso dal governo, al fine di consentire un ruolo più attivo all'estero delle Forze di Autodifesa nel quadro delle alleanze internazionali del Paese (in particolare con gli Stati Uniti).
Due tesi inconciliabili lacerano l'opinione pubblica. Una, appoggiata dal governo Abe, tende a vedere nella tragica vicenda degli ostaggi la conferma che è ormai impossibile per il Giappone illudersi di poter continuare - con la scusa della Costituzione ultrapacifista dettata dagli Usa nel primo dopoguerra - a fare l'amico di tutti e a rifiutarsi di assumere i maggiori impegni (anche sul piano militare) che gli Usa da tempo sollecitano. L'altro orientamento sottolinea i rischi incalcolabili dell'andare a cercare guai all'estero, in un mondo instabile non più bipolare né unipolare. Al di là dell'universo islamico, il problema riguarda soprattutto l'atteggiamento verso la crescente potenza cinese.
Proprio in questi giorni, il comandante della Settima flotta Usa ha dichiarato che vedrebbe volentieri un contributo giapponese al pattugliamento del Mar cinese meridionale, dove Pechino ha contrasti territoriali con vari Paesi dell'area.
Tokyo sta finalizzando con gli Usa le nuove linee della strategia difensiva dell'alleanza bilaterale. È chiamata a scelte difficili in ogni caso. E molti analisti vedono emergere un tiro alla fune tra il governo Abe – favorevole al cambiamento – e una opinione pubblica spaventata dalle novità. Una replica in grande di quanto successo sul tema dell'energia nucleare nel post-Fukushima, con il governo impegnato a promuovere la permanenza dell'atomo nel mix energetico del Paese a fronte della contrarietà della maggioranza dei cittadini. Ora, però, non si tratta solo di un problema interno, liberamente gestibile, di contenimento di un rischio-sicurezza: va data una risposta a forti pressioni esterne, provenienti sia da soggetti ostili sia da indispensabili alleati.
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