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Jobs act: dietro-front sull'aumento dei contributi

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la riforma del lavoro

Jobs act: dietro-front sull'aumento dei contributi

Il Governo fa retromarcia, e il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, annuncia che la clausola di salvaguardia (un contributo aggiuntivo di solidarietà a carico di imprese e lavoratori autonomi per coprire l'eventuale ondata di trasformazioni di rapporti precari in stabili) inserita nel decreto legislativo di riordino dei contratti «verrà superata prima della definitiva approvazione del provvedimento».

La norma, che compare nell'ultima versione del Dlgs approdato venerdì scorso in Parlamento (si veda l'anticipazione sul Sole 24 Ore di ieri), è stata voluta dalla Ragioneria generale dello Stato e risponde «a un principio di cautela sugli oneri che potranno derivare dal provvedimento, le cui coperture - tiene a precisare Poletti - sono comunque ampiamente sufficienti». La legge di Stabilità 2015, in vista del forte incentivo economico sui contratti a tempo indeterminato, ha conteggiato una platea di possibili conversioni di circa 37mila collaborazioni. Con le nuove regole del Dlgs sui contratti si prevede che dal 1° gennaio 2016 si applica la disciplina del lavoro subordinato alle co.co.co. “fittizie” (quelle cioè continuative, organizzate, con prestazioni di contenuto ripetitivo); e in base a queste disposizioni sono state stimate minori entrate contributive su una collettività di circa 20mila collaboratori aggiuntivi (con reddito medio di 15mila euro). E sono state, quindi, messe ulteriori risorse per la decontribuzione (16 milioni per il 2015, 52 per il 2016, 40 per il 2017, 28 per il 2018). Somme evidentemente ritenute non sufficienti dalla Ragioneria, che pertanto ha richiesto l'introduzione, come clausola di salvaguardia, della possibilità di introdurre un contributo aggiuntivo di solidarietà a favore delle gestioni previdenziali a carico dei datori di lavoro del settore privato e dei lavoratori autonomi.

Una disposizione, però, che se applicata avvrebbe portato al paradosso di penalizzare sopratutto le aziende che non trasformano i rapporti di collaborazione in tempi indeterminati, colpendole con un generalizzato aggravio di costi (con una mano si abbassa il costo del lavoro, con l'altra si alza).
E così, da quanto si apprende, ieri mattina il premier, Matteo Renzi, ha deciso di eliminare la clausola di salvaguardia, e dopo poche ore il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha annunciato ufficialmente la marcia indietro dell'Esecutivo. Pur evidenziando come sarebbe stato, comunque, «altamente improbabile che la salvaguardia potesse scattare». Tuttavia, «per evitare preoccupazioni e possibili fraintendimenti», evidenzia Poletti, si è deciso di soprassedere, anche se resta da capire come si copriranno le eventuali maggiori assunzioni stabili che potrebbero esserci quest'anno. Sul punto anche l'Ufficio parlamentare di bilancio aveva sollevato le sue perplessità nella Relazione sulla legge di Stabilità, indicando proprio il possibile rischio di maggiori assunzioni a tempo indeterminato rispetto alle stime.

Lo stop all'eventuale aumento dei contributi deciso dall'Esecutivo è stato subito accolto con favore dal presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd): «Per fortuna il ministro Poletti ha dichiarato che questo balzello, assurdo, verrà cancellato. Sicuramente noi proporremo di eliminarlo nel corso dell'esame in sede referente». Dalle opposizioni le critiche più incisive alla misura di salvaguardia sono invece arrivate dai parlamentari del Movimento Cinque Stelle: «Il governo dei trucchi contabili e dei finti tesoretti continua ad accanirsi contro gli autonomi, i precari e le giovani partite Iva. Renzi li ha scambiati forse per un bancomat?» hanno denunciato i deputati M5S, preoccupati per «l'ennesima tagliola ai danni degli autonomi che rischia di scattare per coprire le regalie elettoralistiche di un singolo anno, il 2015, in favore dei finti stabilizzati a tutele crescenti».

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