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La crisi di Baltimora. Quel grido soffocato nella gola di Freddie Gray

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polizia sotto accusa negli usa

La crisi di Baltimora. Quel grido soffocato nella gola di Freddie Gray

NEW YORK - Hanno il nome di un gioco per bambini. “Nickel rides”. Giostre da dieci centesimi. Il costo di una vecchia corsa al Luna Park, di quelle che ormai non esistono più. Quel che esiste, invece, è la versione creata da agenti della polizia americana di questo antico gioco. Dove al divertimento si sostuiscono brutalità e sadismo troppo spesso ignorato o tollerati se non approvati: caricare l'arrestato nel furgone, a volte incatenato mani e piedi, senza cintura di sicurezza.

Poi guidare quel furgone all'impazzata, come sulle montagne russe. Il risultato è una galleria dell'orrore. Prigionieri, spesso afroamericani o emarginati, a volte arrestati per sguardi di traverso o aver urinato in pubblico, trascinati fuori dal veicolo al termine della corsa feriti, paralizzati e, in qualche caso, morti. Vite distrutte che, agli occhi degli agenti, evidentemente valgono un nickel.

Capire lo sdegno e la rabbia di Baltimora, che oggi cova sotto la cenere di una calma protetta da tremila soldati della guardia nazionale e poliziotti nelle strade, significa per molti portare alla luce questa giostra infame. Non è ancora dato sapere se questa spieghi il coma e la morte di Freddie Gray, 25 anni, un passato di infrazioni e reati minori, che il 12 aprile reagì scappando allo sguardo di un poliziotto di pattuglia. Forse aveva un coltello a serramanico che temeva fosse illegale, forse era memore di troppi incontri con gli agenti. Di sicuro quando l'hanno estratto dal furgone aveva il collo spezzato. Più precisamente: la spina dorsale recisa all'80%, ha spiegato l'avvocato della famiglia, causa del coma e della morte sette giorni dopo. Qualcuno ipotizza che abbia voluto farsi male da solo, altri che le ferite siano state inflitte durante l'inseguimento che ha portato alla cattura.

Il Dipartimento di polizia della città ha completato in queste ore la sua inchiesta sul decesso consegnando i risultati alla procura, che dovrà decidere se incriminare o meno gli agenti che avevano in custodia Gray. In sei, per il momento, sono stati sospesi.
Far luce sulla dinamica degli eventi, però, appare solo una delle risposte necessarie. Ricostruire con chiarezza le responsabilità di quanto accaduto a Gray, come ad altre recenti vittime di discusse scelte dei poliziotti da Ferguson a Cleveland e a New York, è essenziale per cominciare a risanare altre gravi ferite, le lacerazioni nel tessuto cittadino e del paese e tra comunità etniche e forze dell'ordine. Ma per proseguire su questo cammino emerge ormai con forza ineludibile la richiesta di una generale svolta. Di una revoca della licenza troppo facile a uccidere e ora anche a torturare, quando alcune vite evidentemente contano poco. Black lives matter, le vite degli afroamericani contano, è lo slogan che trova sempre più eco.

Perchè le “nickel rides”, altrimenti note come “rough rides”, corse spericolate, non sono l'eccezione nè una novità. Come ha ricordato il presidente Barack Obama, le crisi razziali vengono da lontano e richiedono profonde riflessioni da parte dell'intera società. È vero per i diritti economici, di uscire dalla povertà, come per i diritti umani e civili. Gray non aveva le cinture di sicurezza allacciate come da regolamento, ha ammesso uno degli avvocati degli stessi agenti coinvolti, perché “la politica è la politica, la pratica è altro”. Una pratica che nel 2005, sempre a Baltimora, era costata la vita a Dondi Jonhson. Fermato per aver urinato in pubblico, morì con gli stessi “sintomi” di Gray, spina dorsale fratturata nel retro di un furgone trasformato in un letale frullatore, mani legate dietro la schiena.

La città pagò i danni. Quanti? Una giuria stabilì 7,4 milioni di dollari, ma il tetto fu abbassato a 200.000 dollari, non abbastanza evidentemente per mettere al bando la “giostra” sulla pelle degli arrestati. E che dire di Philadelphia: nel 2001 le autorità furono costrette a passare un regolamento apposito per vietare il trasporto di fermati senza cinture di sicurezza e adeguate protezioni sull'onda di un'inchiesta del quotidiano Philadelphia Inquirer che scoprì come la città aveva dovuto pagare danni per 2,3 milioni di dollari per le ferite causate dalle rough rides, compresi due casi di vittime rimaste per sempre paralizzate. A rischiare la paralisi, ora, è un'America che non sappia rispondere al grido rimasto nella gola spezzata di Freddie Gray.

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