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Tre ipotesi per disinnescare la clausola di salvaguardia

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dopo la bocciatura Ue

Tre ipotesi per disinnescare la clausola di salvaguardia

ROMA - Poco più di un mese. È il tempo che ha disposizione il Governo per trovare entro il 30 giugno una copertura alternativa ai 728 milioni che vengono a mancare sul 2015 per effetto dello stop di Bruxelles all'estensione del “reverse charge” alla grande distribuzione, prevista dall'ultima legge di stabilità. La decisione della Ue non è da considerare un fulmine a ciel sereno. Non a caso già da qualche giorno i tecnici del ministero dell'Economia hanno cominciato a valutare la situazione. Almeno tre le ipotesi su cui si è cominciato a lavorare, anche se ancora a livello embrionale, per non mettere in discussione quello che anche ieri da via XX settembre è stato nuovamente ribadito come un punto fermo: la certa sterilizzazione della clausola di salvaguardia che, in assenza delle entrate del “reverse charge”, prevede l'aumento delle accise sui carburanti con decorrenza 1° luglio. La prima ipotesi è di far leva su un puzzle di mini-tagli alla spesa. Con due possibilità: un mix tra rimodulazioni degli accantonamenti di bilancio e micro-tagli lineari ai ministeri oppure soltanto un intervento mirato sulle uscite delle amministrazioni centrali.

Una seconda opzione è rappresentata dalla possibilità di utilizzare una parte del maggior gettito atteso dall'operazione di rientro dei capitali all'estero (”voluntary disclosure”). Un'ipotesi che nei giorni scorsi era entrata a far parte anche nel menù delle possibili coperture per il “decreto pensioni” legato alla sentenza della Consulta, ma che era stata quasi subito scartata. E anche in questo caso questo intervento potrebbe subire la stessa sorte soprattutto perché la decisione di utilizzare a fini di copertura un gettito ancora potenziale e non operativamente incassato potrebbe finire nel mirino di Bruxelles e subire uno stop. Va ricordato che già nei mesi scorsi per disinnescare una delle clausole di salvaguardia ereditate dal Governo Letta, quella da circa 700 milioni legata all'Imu sulla prima casa, il Governo aveva utilizzato una fetta della maggiori entrate, in questo caso “effettive”, dalla lotta all'evasione.

La terza ipotesi è quella di agire sul deficit. Ma questo percorso appare in salita. Anzitutto perché il cosiddetto “tesoretto”, ovvero lo scarto tra deficit tendenziale e programmatico indicato nel Def di aprile, è stato già utilizzato per l'operazione pensioni sancita dal decreto varato lunedì scorso. Dopo il varo di questo Dl il deficit nominale per il 2015 resta al 2,6% del Pil, quindi il Governo potrebbe essere tentato di utilizzarne un altro 0,05% per turare la nuova falla restando comunque abbondantemente sotto la soglia del 3 per cento. Ma Bruxelles, che da poco settimane ha dato l'ok all'utilizzazione dei margini di flessibilità legati soprattutto alla clausola delle riforme, potrebbe non dimostrarsi entusiasta di una simile decisione. Anche se il Governo potrebbe far rientrare in qualche modo questa operazione nelle more della voce “minor spesa interessi sul debito” (come una sorta di acconto) che contabilmente potrebbe essere sfruttata solo a fine anno.

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