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Lunedì la direzione Pd: congelata la resa dei conti

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Lunedì la direzione Pd: congelata la resa dei conti

La direzione del Pd convocata per lunedì sera si annuncia come meno decisiva per i rapporti interni di quanto potesse apparire all'indomani del voto regionale. Non che sia stato trovato un “modus vivendi” accettabile tra maggioranza renziana e minoranza più “radicale”. I 40 deputati che non hanno votato la fiducia all'Italicum e i 24 senatori dissidenti sono ancora tutti lì, e ancora più convinti dopo il risultato al di sotto delle aspettative delle elezioni (nel mirino la perdita di voti finiti nell'astensione e la sconfitta nella “rossa” Liguria) che ci sia spazio per attentare alla solidità della leadeship di Renzi in vista del congresso previsto per il 2017.

Questione di numeri, questione di rapporti di forza. La minoranza ha dalla sua il potere di interdizione in Senato, ed è intenzionata a usare questo suo potere per modificare le riforme in campo (scuola e riforma costituzionale in primis) cercando di far «cambiare verso» al segretario e premier. Renzi ha dalla sua la forza di una leadership che non ha di fatto alternative e l'arma del voto anticipato. Vero è che l'Italicum appena approvato entrerà in vigore solo nel luglio 2016, ma è pur sempre possibile intervenire con un decreto che sarebbe poi convertito dalla nuova Camera per abolire la «clausola di salvaguardia» ed andare alle urne prima. Fantapolitica, per ora, ma la pistola in qualche modo è sul tavolo.

Per ora il segretario e premier lavora all'inclusione, e le aperture fatte nelle ultime ore sulla modifiche alla “Buona scuola” ne sono il segno tangibile. Contrappesi al potere dei presidi (valutazione preventiva e incarico a tempo nello stesso istituto) e un piano pluriennale per l'assunzione dei precari rimasti fuori dai 100mila potrebbero essere i punti di compromesso. Ma basterà?

Il nodo centrale dell'attuale Pd è il rispetto delle regole di convivenza comune, come ha avuto modo di sottolineare più volte lo stesso Renzi: chi perde le primarie deve accettare il risultato e lavorare alla vittoria del candidato scelto dagli elettori (mentre Sergio Cofferati in Liguria è uscito dal partito e ha appoggiato il candidato civatiano Luca Pastorino, contribuendo alla vittoria del centrodestra); e soprattutto chi non vota la fiducia al governo presieduto dal proprio segretario, come accaduto con l'Italicum (a cominciare dall'ex segretario Pier Luigi Bersani e dall'ex premier Enrico Letta), si mette di fatto fuori dal partito.

Le regole ci sono già, ripetono gli uomini vicini a Renzi, non c'è bisogno di metterne delle altre, bisogna solo cominciare a farle rispettare. Ma il punto è: si può permettere Renzi con questi numeri in Senato di procedere a espulsioni in virtù delle regole? E se non ci sono sanzioni, a che servono le regole, se non ad essere eluse? Dall'altra parte è evidente che la minoranza del Pd, quella che cerca un'alternativa a Renzi e intende spostare l'asse del partito a sinistra, non può permettersi di rischiare il voto anticipato né di lasciare il Pd per avventure elettorali a una cifra. Per questo il momento della resa dei conti vera non è arrivato, e forse arriverà solo quando si dovranno fare le liste elettorali per le prossime politiche. Con tutti i rischi che questo comporta per il destino delle riforme in campo, che potrebbero essere fortemente annacquate, e per il prosieguo della vita parlamentare nella Camera Alta, dove al momento la maggioranza si regge su 9 voti compresi quelli dei dissidenti Pd.

Renzi ha per ora intenzione di coinvolgere il più possibile la minoranza lealista e dialogante di Maurizio Martina Enzo Amendola e Cesare Damiano, sperando di includere pian piano anche i giovani della minoranza più radicale. Il resto si vedrà.

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