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Attualità

Al classico è Tacito, l'autore più temuto allo scritto di latino

Avendo Renzi già tanti problemi con la scuola, soprattutto sul fronte degli insegnanti, si poteva ipotizzare che avrebbe cercato di guadagnarsi almeno la simpatia degli studenti con tracce di maturità abbordabili. Decisamente tali erano state quelle della prima prova scritta, quella di Italiano, tenutasi ieri.

Dunque, per analogia, al liceo classico, dove in queste ore si sta svolgendo lo scritto di latino, ci si poteva aspettare un tranquillizzante Quintiliano o almeno un Cicerone dei meno ostici. Invece no, perché è spuntato l'autore più temuto dai maturandi, quello il cui solo nome fa tremare le vene e i polsi: lo storico Cornelio Tacito (55 ca - 120 ca d.C.). Dai suoi Annales è stato dato in pasto ai maturandi il paragrafo 50 del VI libro, incentrato sulla morte dell'imperatore Tiberio.

Ma per ridurre l'ansia dei ragazzi di fronte al nome tanto temuto, quest'anno per la prima volta il testo latino è accompagnato da una breve introduzione che ne riassume i contenuti: «Un famoso medico, tastando il polso dell'imperatore Tiberio, ne pronostica la fine imminente: dopo pochi giorni l'imperatore viene creduto morto. Mentre Caligola inizia a gustare le primizie del potere, improvvisamente Tiberio si riprende...». Riportiamo qui il brano e di seguito la traduzione.

IL BRANO

Iam Tiberium corpus, iam vires, nondum dissimulatio deserebat: idem animi rigor; sermone ac vultu intentus quaesita interdum comitate quamvis manifestam defectionem tegebat. Mutatisque saepius locis tandem apud promunturium Miseni consedit in villa cui L. Lucullus quondam dominus. Illic eum adpropinquare supremis tali modo compertum. Erat medicus arte insignis, nomine Charicles, non quidem regere valetudines principis solitus, consilii tamen copiam praebere. Is velut propria ad negotia digrediens et per speciem officii manum complexus pulsum venarum attigit. Neque fefellit: nam Tiberius, incertum an offensus tantoque magis iram premens, instaurari epulas iubet discumbitque ultra solitum, quasi honori abeuntis amici tribueret. Charicles tamen labi spiritum nec ultra biduum duraturum Macroni firmavit. Inde cuncta conloquiis inter praesentis, nuntiis apud legatos et exercitus festinabantur. Septimum decimum kal. Aprilis interclusa anima creditus est mortalitatem explevisse; et multo gratantum concursu ad capienda imperii primordia G. Caesar egrediebatur, cum repente adfertur redire Tiberio vocem ac visus vocarique qui recreandae defectioni cibum adferrent. Pavor hinc in omnis, et ceteri passim dispergi, se quisque maestum aut nescium fingere; Caesar in silentium fixus a summa spe novissima expectabat. Macro intrepidus opprimi senem iniectu multae vestis iubet discedique ab limine. Sic Tiberius finivit octavo et septuagesimo aetatis anno.

LA TRADUZIONE

Ormai le forze fisiche e quelle spirituali, ma non ancora la capacità di dissimulazione, stavano abbandonando Tiberio: l'inflessibilità dell'animo era la stessa. Circospetto nel discorso e nel volto, con affettata piacevolezza talvolta cercava di nascondere l'estenuazione delle forze, per quanto essa fosse evidente. Dopo aver cambiato sempre più spesso località, alla fine si stabilì presso il promontorio di Miseno, in una villa di cui un tempo era stato proprietario Lucio Lucullo. Lì in questo modo si comprese che si stava avvicinando alla fine. C'era presso di lui un medico insigne nella sua scienza, di nome Caricle, che in verità non era solito curare le malattie dell'imperatore, ma piuttosto offrirgli la possibilità di essere consultato. Questi, fingendo di prendersi un breve congedo per affari personali e strettagli la mano con l'apparenza di ossequiarlo, ebbe modo di sentire le pulsazioni delle vene. Ma ciò non sfuggì a Tiberio: infatti forse offeso e per questo tanto più trattenendo l'ira, ordinò di riprendere il banchetto e si trattenne a tavola oltre il solito, come se lo facesse per onorare l'amico in partenza. Caricle tuttavia assicurò a Macrone che le forze vitali stavano venendo meno e che non sarebbero durate oltre due giorni. Da quel momento venivano affrettati tutti i provvedimenti del caso, tenendosi abboccamenti tra i presenti e diramando istruzioni ai legati delle province e alle truppe. Il 16 marzo, avendo cessato di respirare, si credette che avesse terminato il corso della sua vita mortale; e mentre molti correvano a congratularsi, Gaio Cesare si accingeva ad assumere il potere imperiale, quando improvvisamente viene riferito che a Tiberio stavano tornando la voce e la vista e che da parte sua si chiedeva che gli portassero del cibo per riprendersi dallo svenimento. Da quel momento il terrore pervase ciascuno, e tutti gli altri si disperdevano qua e là, mentre ognuno assumeva un aspetto triste e insicuro; l'imperatore, immobile nel suo silenzio, sentendosi precipitare da quella grande speranza, aspettava il peggio. Macrone senza esitare comanda di soffocare il vecchio gettandogli addosso molte coperte e poi si allontana dalla casa. Così morì Tiberio, nel settantottesimo anno di vita.

(traduzione di Roberto Carnero)

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