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Riforme, il Pd si prepara alla conta. Fi incalza: «Renzi non…

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il ddl costituzionale

Riforme, il Pd si prepara alla conta. Fi incalza: «Renzi non ha i numeri»

I giochi ufficiali si riapriranno a settembre, con la ripresa dei lavori parlamentari. Ma sulla riforma costituzionale del Senato e del Titolo V la partita è aperta. Matteo Renzi mantiene il low profile e intanto nel Pd è caccia ai numeri e alle possibili alleanze.

Brunetta (Fi): «Renzi non ha i numeri»
Sulla carta, considerando i 28 dissidenti del Pd che hanno sottoscritto gli emendamenti all’articolo 2 del ddl per reintrodurre il Senato elettivo e le posizioni espresse da tutte le forze di opposizione, la maggioranza non c’è. Oggi Renato Brunetta, capogruppo Fi alla Camera, dalle pagine del Tempo è tornato a infierire: «Se Renzi facesse la faccia cattiva in Parlamento sulla riforma del Senato spaccherebbe il suo partito ma soprattutto il Paese. È questo il clima nel quale vorrebbe affrontare il referendum confermativo?». E ancora: «Renzi non ha i numeri. In 176 hanno firmato emendamenti per l’elettività del nuovo Senato e la voragine nel Pd si sta allargando. Il governo è sotto di 40 voti. Mi meraviglio che il Presidente Mattarella non abbia già convocato Renzi al Colle per chiedergliene conto».

Il premier e il lavoro dietro le quinte
Ma Renzi, nella sortita a sorpresa alla Festa dell’Unità, venerdì scorso, ha mostrato la volontà ferrea di andare avanti e la convinzione che alla fine, con o senza la minoranza del partito, con o senza Forza Italia, la riforma andrà in porto. A dispetto degli attacchi di Brunetta, Fi ha comunque inviato segnali concreti del desiderio di tornare al tavolo. Con condizioni finora ritenute inaccettabili - il Senato elettivo, la previsione nell’Italicum del premio alla coalizione, la riforma della giustizia - ma che potrebbero mutare in corsa, a seconda delle priorità. Non è un mistero che il presidente dei senatori azzurri, Paolo Romani, sia favorevole a riprendere il filo del discorso che si era interrotto con l’elezione di Sergio Mattarella e la rottura del Patto del Nazareno.

La minoranza Pd: «No a Senato dopolavoro»
Nel frattempo l’ala dura della minoranza dem non demorde. «Come giustamente sottolineato dal senatore Fornaro, chi vuol far credere che il Senato elettivo equivalga al bicameralismo perfetto fa un cinico calcolo di comunicazione e specula sulla disinformazione», afferma la senatrice Lucrezia Ricchiuti. «Due organi elettivi possono ben svolgere funzioni diversificate, come accade per esempio in una democrazia sperimentata come quella degli Stati Uniti».

Botta e risposta Maroni-Rossi
Ieri nel dibattito si è levata la voce del governatore della Lombardia, il leghista Roberto Maroni. «Se passa questo disegno criminoso di cancellare le autonomie - ha twittato - governare le Regioni diventa mission impossible». Oggi ha replicato il presidente della Toscana, il dem Enrico Rossi, non certo un renziano: «Maroni ne dice una giusta e due sbagliate. È giusto quando su twitter si chiede che riforma sarebbe se il Senato restasse elettivo, sbaglia però quando si scaglia contro la riforma Boschi contrapponendogli il modello del Bundesrat tedesco e dichiarando che se passasse sarebbe una mission impossible governare le Regioni».

Rossi: «Sì a Senato formato da consiglieri regionali»
«In realtà - dice Rossi - un Senato formato dai consiglieri regionali è il modo concreto per portare i territori nel cuore dello Stato e per dare alle Regioni una tribuna politica nazionale dalla quale incidere sui processi legislativi che le riguardano. Quanto alle competenze derivanti dalla revisione del Titolo V, è evidente che la fase attuale e le esperienze fatte impongono un superamento di quel federalismo tanto caro alla Lega che ha finito per concepire le Regioni come staterelli separati, portando di fatto a un indebolimento nei confronti dello Stato centrale e all’accentuarsi delle divisioni all'interno del Paese. Ritrovare un punto di equilibrio non è facile. Esistono infatti progetti di neo-centralismo che rappresenterebbero una vera iattura per il governo del Paese. Ma difendere, o addirittura voler accentuare il federalismo di tipo leghista, che purtroppo ha già fatto tanti danni, è davvero miope». Insomma: per il governatore toscano le Regioni devono impegnarsi perché la riforma vada avanti, migliorandola dove possibile «così da definire un giusto equilibrio tra i poteri dello Stato centrale e quelli delle Regioni».

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